«È drammatico il numero di suicidi nelle carceri che da troppo tempo non dà segni di arresto. Si tratta di una vera e propria emergenza sociale sulla quale occorre interrogarsi, per porvi fine immediatamente». Sono parole pesanti quelle pronunciate dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, durante l’incontro al Quirinale con una delegazione della Polizia penitenziaria, nel giorno di San Basilide, patrono del Corpo. Ed è «per rispetto della Costituzione, ma anche della storia e dei caduti della Polizia penitenziaria, «che dobbiamo intervenire subito», ha dichiarato.

Si tratta del primo incontro ufficiale tra il Capo dello Stato e Stefano Carmine De Michele, nominato a capo del Dap dopo un tribolato iter a seguito delle dimissioni di Giovanni Russo. E il “battesimo” avviene con l’argomento più delicato, quello dei suicidi in carcere. La situazione, ha sottolineato Mattarella, è «preoccupante», contrassegnata da «una grave e ormai insostenibile condizione di sovraffollamento», condizioni strutturali «inadeguate», sulle quali intervenire con urgenza, «nella consapevolezza che lo spazio non può essere concepito unicamente come luogo di custodia, ma deve includere ambienti destinati alla socialità, all’affettività, alla progettualità del trattamento». Un richiamo esplicito alla sentenza della Consulta sull’affettività in carcere, a lungo negata nonostante la pronuncia del giudice delle Leggi.

Non è la prima volta che il Capo dello Stato richiama il Parlamento al dovere costituzionale di rieducare. Ma oggi le sue parole sembrano avere il peso di un altolà: in un’Italia che inasprisce pene e introduce nuovi reati, parlare di investimenti nel recupero suona come una correzione di rotta implicita. Un approccio, quello del Capo dello Stato, che depotenzia implicitamente la tensione securitaria del governo. Serve – ha ribadito – un piano urgente di manutenzione e ristrutturazione degli istituti, il rafforzamento dell’organico, più educatori, accesso agevolato alle cure, soprattutto per chi ha problemi psichici, e nuove professionalità. Solo così i penitenziari smetteranno di essere «palestra di addestramento al crimine» o luoghi «senza speranza», per orientarsi «effettivamente» al recupero di chi ha sbagliato.

«Ogni detenuto recuperato - ha aggiunto - equivale a un vantaggio di sicurezza per la collettività, oltre a essere l’obiettivo di un impegno dichiaratamente costituzionale». Ed è proprio per questo che le condizioni di vita e il trattamento dei detenuti devono essere «dignitosi». Un risultato per il quale «servono investimenti necessari e lungimiranti, perché rivolti a garantire maggior sicurezza ai cittadini», ha evidenziato Mattarella.


De Michele - che ha donato a Mattarella un emblema della Repubblica, realizzato dai detenuti della Casa circondariale di Locri - ha richiamato, dal canto suo, i valori fondanti del Corpo: rispetto della legge, dignità umana, rieducazione. «La pena non è rivalsa dello Stato, ma sempre occasione di cambiamento, percorso di responsabilità, opportunità di riscatto», ha sottolineato. Ma non può esserci rieducazione in condizioni di disuguaglianza, di prevaricazione e di violenza, ha chiarito. Da qui l’esigenza di ambienti più salubri e dignitosi e un impegno per la risocializzazione e la prevenzione della recidiva, attraverso protocolli e accordi per aumentare le opportunità di lavoro, soprattutto esterne. Un altro fronte è la prevenzione dell’autolesionismo, che ha definito «tema urgente», da affrontare attraverso la formazione del personale, i protocolli di monitoraggio e l’assistenza psicologica, perché la vita e la dignità restano valori irrinunciabili, anche dietro le sbarre.
L’appello di Mattarella ha subito smosso la politica, con le opposizioni che tornano a chiedere provvedimenti di clemenza: dal Pd ad Avs, passando per Italia Viva, fino a Riccardo Magi (+Europa). «Abbiamo strumenti pronti, dalla liberazione anticipata speciale alla revisione dell’articolo 79 della Costituzione, fino a proposte come l’“indultino” e le Case di reinserimento sociale - ricorda Magi -. Ma manca la volontà politica».

Secca la replica del sottosegretario Andrea Delmastro, che invita la sinistra a non «tirare per la giacca il Presidente della Repubblica» né a «farsi interpreti del suo pensiero». Salvo poi interpretarlo e farlo coincidere con quello del governo, che sta già investendo «centinaia di milioni di euro» per la ristrutturazione delle carceri e per recuperare «circa 7.000 dei 10.000 posti detentivi mancanti».

Un concetto ribadito dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, secondo cui il governo starebbe già facendo abbastanza: prioritari, afferma, sono la prevenzione di autolesionismo e suicidi in carcere, «fenomeni che traggono origine da molti fattori legati al disagio ed allo sconforto del carcerato». Da qui la promessa di un intervento «per il sostegno psicologico», ricordando gli interventi già avviati: 3 milioni annui dal 2025 per tale scopo, 132 milioni per il lavoro dei detenuti e l’aumento di quasi 4.000 unità del personale addetto a prevenzione e controllo.

Per ridurre il sovraffollamento, Nordio ha indicato tre strategie: detenzione differenziata per tossicodipendenti, espiazione della pena nei Paesi d’origine per gli stranieri e strutture per chi ha diritto alle misure alternative, ma manca di supporto socioeconomico. Fondamentale anche la riforma della custodia preventiva per reati non legati alla criminalità organizzata, visto che oltre il 20% dei detenuti è in attesa di giudizio, molti poi assolti. Infine, ha evidenziato l’impegno del Commissario straordinario per l’edilizia carceraria, che garantirà presto «un ampliamento efficace delle strutture detentive».

Insomma, misure la cui utilità si valuterà in futuro, mentre l’emergenza è attuale, ormai da troppo tempo, e necessita di misure drastiche. Dal fronte sindacale, Gennarino De Fazio (Uilpa) ringrazia Mattarella ma denuncia: «Meloni più che lavorare anche di notte per far funzionare i centri in Albania, dovrebbe operare alla luce del sole per mettere in legalità le carceri in “patria”». Infine, Massimo Vespia, segretario generale della Fns Cisl, lancia l’ennesimo appello: «Ci auguriamo che il monito possa essere finalmente recepito dal mondo della politica. Serve intervenire sull’organizzazione del servizio, sull’Ordinamento penitenziario e sul codice penale», conclude, chiedendo «azioni e provvedimenti strutturali e non misure episodiche».

A commentare le parole di Mattarella anche il presidente del Cnf, Francesco Greco. Le sue parole, afferma, «non possono restare inascoltate». Il sistema penitenziario italiano è «al collasso», sottolinea, a causa di sovraffollamento, condizioni disumane e di una rieducazione che rimane solo teorica. Greco evidenzia la necessità di una riforma strutturale, che ampli le misure alternative alla detenzione e valorizzi strumenti come la messa alla prova, il ruolo del terzo settore e il lavoro retribuito dentro e fuori dal carcere. In particolare, «sostenere il reinserimento delle madri significa proteggere i figli e prevenire la recidiva».

Critico verso il decreto Sicurezza, che ha introdotto alcune misure sull’occupazione esterna ma non ha risolto il nodo del lavoro intramurario, Greco richiama lo spirito dell’articolo 27 della Costituzione, affermando che «la carcerazione preventiva deve essere l’estrema ratio» e che la liberazione anticipata non può essere svuotata di significato restringendo le garanzie difensive. «Umanizzare la pena, difendere le garanzie, ricostruire il senso della giustizia: è questa la strada obbligata per una democrazia matura», conclude. La pena «non può ridursi a sofferenza, né il carcere a vendetta sociale. La nostra Costituzione impone una pena che educhi, non che annienti».