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CONTE (M5S) e SCHLEIN (PD)
L’ occasione c’è ed è multipla. I rischi pure e sono multipli anche quelli. Sulla carta le manifestazioni a favore della Palestina e per la fine della guerra di Gaza saranno due: centristi a Milano il 6 giugno, centrosinistra a Roma il 7. In realtà le manifestazioni saranno 3 e presumibilmente quella oceanica sarà l’ultima convocata non dai partiti ma dalle associazioni per il 21 giugno.
Quest’ultima mobilitazione, nella capitale, era stata pensata all’inizio principalmente come contraria al riarmo europeo ma è già stata abbondantemente riconvertita anche come protesta contro i massacri a Gaza e lo sarà sempre più di qui alla data fissata.
L’opinione pubblica italiana è largamente ostile alla guerra israeliana: a sinistra ma anche nella base della destra. Con il governo sostanzialmente schiacciato sull’appoggio a Netanyahu, molto critico ma non al punto da trasformare le parole in atti concreti, i leader del centrosinistra vedono a ragione l’occasione per una battuta di caccia grossa in termini di consenso. La convocazione comune, inoltre, cementa nella pratica di una importante, per alcuni versi persino identitaria, battaglia comune l’alleanza tra Pd, M5S e Avs. Sin qui i vistosi elementi positivi della scelta di manifestare.
L’elenco dei rischi però è lungo. Prima di tutto la divisione tra i centristi, che avrebbero voluto una manifestazione marcatamente contraria a Netanyahu ma non a Israele, e la sinistra è un passo indietro rispetto al campo larghissimo vincente a Genova. Arriva subito dopo quel galvanizzante risultato e minaccia di derubricarlo a caso sporadico e isolato. In secondo luogo la manifestazione romana è pericolosa dal punto di vista cruciale per il Pd dell’antisemitismo.
Non c’è ragione di sospettare la destra di ipocrisia quando alza la voce mille volte più della controparte denunciando il rischio di un dilagare non della protesta contro il governo israeliano ma dell’antisemitismo. Però non c’è neppure motivo per non ritenere che, sia pur sulla base di uno schieramento sincero, la destra non miri anche a colpire il fianco esposto soprattutto del Pd.
In un partito che da lunghissimo tempo era sostanzialmente filoisraeliano, il nuovo gruppo dirigente, sostanzialmente estraneo alla storia del Pd stesso, ha deciso di considerare il rischio di antisemitismo come pericolo di secondaria importanza. Lo ha fatto perché il primo partito dell’opposizione è già circondato da sospetti da parte dell’ala più dura pro- pal per la sua tardiva decisione di schierarsi drasticamente ed è condizionato dalla competizione con Conte, il più pro- pal del bigoncio, persino più di Fratoianni e Bonelli. Se nella manifestazione romana dovessero emergere tendenze più o meno apertamente antisemite o anche favorevoli alla scomparsa di Israele il guaio per la segretaria, prima di tutto all’interno del suo partito, sarebbe grosso. Senza contare che Schlein è esposta anche sul fianco opposto, cioè la possibilità di contestazioni da parte dei pro- pal che manifestano già da 19 mesi. Chiunque nell’ultima settimana abbia frequentato i social sa bene con quanta diffidenza, scetticismo e spesso aperta ostilità sia stata accolto in quell’area il posizionamento del Pd e di alcuni grandi organi di stampa, considerato tardivo e ipocrita.
La possibilità di contestazioni in piazza è reale e anche quello complicherebbe la vita della segretaria all’interno del suo partito. La manifestazione del 21 giugno presenta un problema diverso ma anche più grave. Per quanto sia destinato a essere in parte sostanziosa riconvertito in momento di solidarietà con la Palestina, il corteo di Roma resta convocato contro il riarmo europeo.
La linea adottata da Schlein con l’astensione in materia nel voto del Parlamento europeo, in contrasto con il resto del Pse e in nettissima controtendenza con l’intera parabola del PdS- Ds- Pd, ha già provocato la crisi più grave nei rapporti tra il Quirinale e il principale partito del centrosinistra. Ha anche portato quel partito più vicino al punto di rottura di quanto non sia mai stato nell’era Schlein.
L’adesione a una manifestazione apertamente contraria al riarmo porterebbe lo scontro con Mattarella e quello interno al partito oltre il punto di non ritorno. La via d’uscita più ovvia, e quella che sarà dunque quasi certamente seguita, è la non adesione come partito ma solo di singoli esponenti a livello personale. La delegazione sarebbe a quel punto di alto livello ma senza la segretaria. Soluzione comoda ma non prova di costi. A intestarsi la leadership della protesta contro il riarmo sarebbe a quel punto inevitabilmente Giuseppe Conte.