L’incontro tra Putin e Trump in Alaska, e il successivo summit di Washington, hanno rilanciato lo sforzo diplomatico per porre fine al conflitto che da tre anni e mezzo imperversa in Ucraina. Nel corso del multilaterale di lunedì, tenutosi nella capitale statunitense, i leader europei hanno proposto diverse opzioni di garanzie di sicurezza per Kyiv. Ne parliamo con Marco Di Liddo, direttore del Centro Studi Internazionali.

Nel corso del vertice di Washington si sono profilate diverse opzioni per offrire garanzie di sicurezza all’Ucraina tra cui un modello ispirato all’art. 5 del Patto Atlantico, è una strada percorribile secondo lei?

«Partiamo dal fatto che in politica internazionale quando si parla di costruzione di architetture di difesa e di sicurezza collettiva le strade percorribili sono molteplici, quasi infinite e ci sono tutti gli strumenti legali e tecnici per applicare questi principi e costruire l’architettura. L’Art. 5 come principio di difesa collettiva si inserisce in un contesto ben preciso, un attacco nei confronti di un membro dell’Alleanza Atlantica è un attacco contro tutti i membri e pone l’Alleanza nella condizione di attivarsi a difesa del soggetto che ha subito un atto ostile. Questo principio però va declinato praticamente. Parliamo di un articolo inserito in un trattato che istituisce un’organizzazione ad hoc di difesa collettiva: la Nato. Prima domanda che bisogna porsi è se ci si vuole ispirare all’Art. 5 solo per il principio di difesa collettiva o anche per tutta l’architettura su cui si basa, considerando quindi di creare un’organizzazione ad hoc per la difesa dell’Ucraina, una sorta di mini Nato.

L’Art. 5 da solo non basta, non prevede una clausola di attivazione automatica. I membri non implementato azioni standardizzate e automatiche, anzi prevede che a seguito della sua invocazione si debbano riunire gli organi specifici dell’Alleanza Atlantica per stabilire, con un voto all’unanimità, se attivare o meno l’Art. 5. Altre strade percorribili sono gli accordi di mutua difesa che hanno caratterizzato le relazioni internazionali prima della Nato. Trattati in cui diversi paesi si impegnavano a garantirsi la mutua difesa senza creare un’organizzazione ad hoc, come quelli che esistevano prima della grande guerra e tra la prima e la seconda guerra mondiale.

Un’altra strada ancora potrebbe essere quella di un trattato multilaterale con più segnatari che preveda la difesa collettiva, naturalmente in questo caso bisognerebbe capire se c’è l’attivazione automatica o meno, ma generalmente, secondo gli sviluppi degli ultimi anni, simili trattati prevedono sempre la consultazione tra i membri per accertare la natura dell’attacco, valutare l’aggressione e poi decidere se applicare o meno il principio della difesa collettiva, l’attivazione automatica è rarissima».

L’adozione di questa misura non equivarrebbe a far aderire l’Ucraina al Patto Atlantico?

«Questo lo ha escluso categoricamente Trump e in Europa ci sono paesi molto freddi rispetto all’adesione dell’Ucraina alla Nato, non solo l’Ungheria e la Slovacchia, ci sono tanti altri che la pensano allo stesso modo ma non si espongono. In questo modo si creerebbe una situazione di difesa collettiva secondo principi difensivi della Nato, senza però mettere la bandierina dell’Alleanza Atlantica sul territorio ucraino, offrendo così anche una sponda propagandistica ai russi».

Un’alternativa proposta da Francia, Germania e Gran Bretagna, esclusa invece da Stati Uniti e Italia, è il dispiegamento di soldati a garantire la pace.

«C’è la disponibilità da parte dei volenterosi, è ovvio che però sia subordinata alla stipula di un trattato di pace.

Anche qui bisogna essere cauti; è ovvio che l’Ucraina non può cadere, quindi la presenza di militari europei potrebbe essere necessaria ma prima di discutere di numeri e di dispiegamenti bisogna aspettare. C’è da capire che ruolo avranno questi soldati, se saranno parte di una forza di interposizione o in assetto di combattimento per una reale deterrenza di fronte a una nuova aggressione. Siamo ancora in una fase negoziale e ci sono tanti temi da discutere».

È realistico pensare che opzioni questo genere possano essere accettate da Putin?

«La scommessa di Putin si basa sul fatto che gli americani non ne vogliono più sapere dell’Ucraina e vogliono concentrarsi sul dossier sud- est asiatico e che gli europei sono stanchi. D’altra parte la macchina da guerra di Putin è stata logorata e l’economia si sta surriscaldando, sa che non può portare il Paese allo stremo perché potrebbe rimetterci la tenuta del sistema che ha costruito ma lo nasconde bene, sembra che in Russia tutto vada bene anche se così non è. Si sta giocando parecchio e questo lo sa, continuerà a spingere per ottenere le condizioni messe sul tavolo nel ‘ 22 a Istanbul nella consapevolezza però che non può tirare troppo gli occidentali per la giacchetta e dovrà fare delle concessioni. Bisognerà valutare le garanzie di sicurezza che gli europei metteranno sul tavolo. Non dimentichiamo che una delle strategie di Putin è prolungare il più possibile il conflitto entro determinati limiti di escalation, perché ritiene di avere più risorse politiche e di volontà rispetto all’Europa e agli Usa. La guerra però non è matematica, 2+ 2 non sempre fa 4, ci sono talmente tanti fattori aleatori che ci costringono a navigare a vista. In Europa non siamo più abituati a situazioni di questo tipo e cerchiamo riposte rapide e sicure ma dobbiamo essere estremamente cauti e pronti all’imprevedibile».

Da parte sua Putin ha proposto la Cina come garante di un eventuale accordo di pace, c’è da fidarsi?

«Bisogna vedere se la Cina è d’accordo prima di tutto. Per la diplomazia cinese sarebbe un passo in avanti enorme, qualcosa di gigantesco, per l’Europa sarebbe la certificazione che i Paesi del vecchio continente non sono più padroni del destino del continente stesso. Se a fare da garante per la pace sul suolo europeo deve arrivare una potenza asiatica è la certificazione che l’ordine mondiale è cambiato. Putin vuole riformarlo sul modello di una nuova Yalta e vuole inserire la Cina in quanto suo alleato».

Sembra che i negoziati abbiano aperto uno spiraglio di luce in fondo al tunnel della guerra, o è solo un abbaglio?

«Lo spiraglio c’è ma lo spiraglio non è la finestra aperta, la certezza della pace, l’evento che cambia il corso del conflitto e spiana la strada alla diplomazia. È uno spiraglio. Russia e Stati Uniti si sono incontrati e hanno provato con l’Europa ad accelerare gli incontri e le attività per trovare una soluzione, ma di cose concrete ancora non si è parlato, se non le condizioni territoriali russe che gli Ucraini non intendono accettare, almeno senza garanzie, e gli europei non vogliono legittimare l’annessione avvenuta a seguito di un’aggressione. C’è ancora strada da fare, lo spiraglio può allargarsi o può anche richiudersi. Bisogna essere consapevoli che progressi sono stati fatti, senza però farci illusioni. Le trattative sono molto complesse. Pesiamo in manera ponderata la speranza senza abbandonare il realismo».