Nel dibattito sulla separazione delle carriere, il ministro della Giustizia Carlo Nordio lancia un appello diretto alla magistratura: evitare che il referendum assuma un significato politico o un messaggio di sfida verso il governo. Collegato all’assemblea nazionale di Noi Moderati, il Guardasigilli è tornato sulla riforma costituzionale, rivendicandone finalità e metodo.

Nordio parla di «auspicio, augurio e quasi supplica» affinché non si ripeta quanto accaduto durante il referendum sul governo Renzi, quando – secondo il ministro – una parte della magistratura avrebbe trasformato il voto in una battaglia politica. Una deriva da scongiurare, ribadisce, perché la riforma «eleva la figura del pubblico ministero al rango del giudice» e le critiche ascoltate finora sono «trucchi verbali, trappole enfatiche, sciocchezze dette proprio da alcuni magistrati».

Il ministro prevede mesi «molto concitati», facendo riferimento alle prime reazioni «non proprio simpatiche» provenienti da settori della magistratura. Occorreranno «coraggio, determinazione e pacatezza», ma soprattutto «razionalità», qualità che, secondo Nordio, manca in chi accusa l’esecutivo di voler «sovvertire la Costituzione» o di ispirarsi alla P2.

Uno dei nodi centrali evocati dal ministro è lo scandalo Palamara. Per Nordio la trasparenza è ancora lontana: «Finché non emergeranno tutte le chat di Palamara con tutti i magistrati che hanno chiesto e ottenuto favori, la fiducia nel Csm continuerà a cadere». Critico verso la gestione dell’epoca, parla di un Consiglio «che ha messo la polvere sotto il tappeto» e ribadisce che «l’unico rimedio è il sorteggio», ritenuto capace di spezzare «il legame correntizio tra elettori ed eletti» da cui sarebbe nato lo scandalo.

Nordio difende anche la scelta dell’Alta Corte disciplinare, definendola «una grande rivoluzione» che sottrae all’Associazione nazionale magistrati «giurisdizione domestica e potere». Una scelta che, secondo il ministro, ha suscitato irritazione, ma libererà la magistratura dalle correnti: «Ne uscirà più libera, senza ipoteche interne».

Il Guardasigilli sottolinea che molte delle critiche interne al corpo giudiziario derivano da resistenze consolidate. Non mette in discussione la competenza di chi oggi ricopre ruoli apicali, ma afferma che «persone altrettanto adeguate, forse più brave» non sono mai arrivate a posizioni di vertice perché prive di «protezioni correntizie». Questo – insiste – è il nodo vero della riforma: «Non hanno mandato degli asini, ma hanno tenuto fuori persone estremamente capaci perché non avevano un padrino nelle correnti. E questo lo sanno tutti».