La denuncia per calunnia a carico degli avvocati Rossella Ognibene e Oliviero Mazza, “colpevoli” di aver sollevato un’eccezione difensiva nel processo “Angeli e Demoni” sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza — conclusosi con una raffica di assoluzioni — «merita di essere approfondita, dovendosi condividere la preoccupazione espressa dagli interroganti rispetto al fatto che le argomentazioni impiegate da un difensore per adempiere in modo efficace al mandato ricevuto ed avendo quale unico proposito quello, per l’appunto, di tutelare nel processo il proprio assistito, potessero dare luogo a strascichi giudiziari pregiudizievoli per lo stesso professionista». A dirlo è il ministro della Giustizia Carlo Nordio, nella risposta all’interrogazione firmata dai deputati di Forza Italia Enrico Costa e Tommaso Calderone.

I due legali, difensori della principale imputata, erano stati iscritti sul registro degli indagati dalla procura di Ancona per aver sollevato, durante l’udienza dell’ 8 aprile 2024, un’eccezione di incompatibilità delle dottoresse Elena Francia e Rita Rossi a svolgere il ruolo di consulenti della pm Valentina Salvi. L’avviso di conclusione delle indagini era arrivato proprio mentre gli avvocati stavano pronunciando la loro arringa finale, scatenando la reazione compatta dell’intera avvocatura. L’Unione delle Camere Penali aveva denunciato con forza l’iniziativa della procura, coniando l’espressione «delitto di difesa».

A trasmettere gli atti il procuratore di Reggio Emilia Carogelo Paci, secondo cui i due legali avrebbero accusato la pm Valentina Salvi di condotta criminosa, cosa che, data la pubblicità dell’udienza, sarebbe poi diventata di dominio pubblico. La parola “criminosa”, però, non è mai stata pronunciata in aula. Si trattava di un ragionamento ipotetico, perfettamente compreso dal Tribunale, che nella propria ordinanza, a seguito dell’eccezione, ha ripreso l’ipotesi della difesa, argomentata in tre scenari alternativi, il cui scopo era esclusivamente tecnico, ovvero dimostrare l’inammissibilità della prova attraverso un ragionamento per assurdo.

Nessuna intenzione, dunque, di ledere l’onorabilità della pm, né di dubitare della sua condotta, come poi confermato dall’archiviazione: si trattava di mero esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, quello alla difesa. Ma la vicenda potrebbe non essere chiusa: Nordio ha infatti annunciato che, «attesa la delicatezza della vicenda e fermo il noto limite dell’insindacabilità disciplinare sull’attività di interpretazione di norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove», ha «dato mandato alle articolazioni ministeriali di svolgere gli opportuni accertamenti». Ciò può tradursi in diverse azioni, come la richiesta di informazioni o relazioni scritte ai capi degli uffici giudiziari coinvolti, un’ispezione ministeriale vera e propria o una richiesta di relazione ispettiva al Csm.

Il ministero, insomma, è pronto ad accendere i fari su una situazione che ha fatto gridare allo scandalo, tanto da spingere anche gli avvocati di parte civile ad alzarsi in piedi, in toga, in segno di solidarietà, quando Mazza ha annunciato in aula di aver ricevuto notifica delle indagini.

«È essenziale ricordare - ha sottolineato Nordio - che la figura dell’avvocato riveste un ruolo fondamentale nel nostro ordinamento giuridico, quale garante dei diritti e delle libertà dei cittadini. L’avvocato, per essendo un libero professionista, svolge una funzione pubblica, contribuendo alla realizzazione della giustizia e al rispetto della legalità. In questo senso l’avvocatura, nel suo complesso, è parte integrante del sistema democratico». Da qui la scelta di approfondire la vicenda, poiché - come hanno evidenziato Costa e Calderone - la tempistica dell’avviso di conclusione delle indagini «costituisce un atto oggettivamente idoneo a comprimere la libera e piena espressione del mandato difensivo, in violazione ad ogni principio fondante lo Stato diritto: una questione procedurale legittimamente sollevata nell’ambito del contraddittorio tra le parti, peraltro fondata su precise risultanze documentali e processuali, diviene oggetto di denuncia stravolgendo ogni profilo di contraddittorio, inventando un delitto di “difesa”, ai limiti dell’intimidazione processuale», avevano evidenziato.

La risposta del ministro, commenta Mazza al Dubbio, «mi sembra importante sotto il profilo delle enunciazioni di principio. A prescindere dalla singola vicenda, conclusasi con una logica archiviazione di accuse palesemente infondate, la difesa del diritto di difesa rimane un tema aperto che merita una profonda riflessione. Occorre individuare soluzioni concrete che prevengano quanto accaduto a noi, se necessario anche a livello legislativo. Deve essere un principio inviolabile che l’avvocato non possa essere indagato per il legittimo esercizio delle sue prerogative all’interno del processo - conclude -. Sembra scontato, ma come dimostra quanto accaduto, così non è».