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Il gip di Milano Tommaso Perna
Non ci sono notizie di reato. Né elementi per valutazioni disciplinari. Così ha concluso il presidente della Corte d’Appello di Milano, Giuseppe Ondei, archiviando senza rilievi la segnalazione ricevuta nei confronti del gip Tommaso Perna, titolare dell’udienza preliminare nell’ambito del processo Hydra, la maxi inchiesta sulle presunte infiltrazioni mafiose al Nord.
A segnalare il giudice, come racconta il Corriere, erano stati i pubblici ministeri Alessandra Cerreti e il procuratore capo Marcello Viola, dopo che, in due note dei carabinieri, erano stati trascritti colloqui in carcere tra alcuni indagati ( i fratelli Rosario e Giovanni Abilone) e i loro familiari, dai quali si facevano riferimenti a Perna e ai suoi contatti con alcuni avvocati. I colloqui, registrati nei penitenziari di Tolmezzo e Nuoro tra febbraio e marzo, sono stati così inviati da Viola alla Procura di Brescia, competente sulle toghe milanesi, e al presidente Ondei «per opportuna conoscenza e eventuali valutazioni».
Ma quelle valutazioni non ci saranno. Ondei ha ritenuto i contenuti privi di qualsiasi rilievo. Stessa conclusione a Brescia, dove le intercettazioni sono rimaste iscritte nel cosiddetto “modello 45”, il contenitore delle non- notizie di reato. Anche in questo caso, nessun elemento che autorizzi ipotesi di reato o il sospetto di interferenze indebite tra difese e giudici. In quei colloqui, infatti, gli avvocati prospettavano motivi di scarcerazione legati allo stato di salute degli assistiti, ricevendo in risposta la disponibilità del magistrato a valutarli solo alla luce di documentazione medica idonea e verificabile. Nulla di censurabile, stando così le cose.
La tensione tra la procura e Perna è nata a ottobre 2023, quando il gip osò rigettare la richiesta di arresto avanzata dalla Dda per 140 persone. Normale dialettica processuale, solitamente, ma non in questo caso: Perna finì infatti nel ciclone, accusato a mezzo stampa, addirittura, di spargere “veleni”. Ma l’accusa più singolare fu quella del “copia e incolla”: proprio nel momento in cui non aderiva supinamente - a torto o a ragione - alla richiesta della pm, su di lui si abbatteva la critica – piuttosto curiosa – di aver citato, in alcuni passaggi, contenuti già apparsi su un blog giuridico. Sua colpa quella di aver “attinto” da una fonte online riconducibile all’avvocato Salvatore Del Giudice. Si tratta - questa la seconda critica - di un penalista «senza alcuna competenza sulla criminalità organizzata». Ma sarebbe bastato andare in fondo alla pagina per scoprire un piccolo dettaglio: l’autore di quello scritto non era Del Giudice (che infatti non firma nulla), bensì una sentenza del Tribunale di Bari. Insomma, la colpa di Perna sarebbe stata quella di aver cercato riferimenti in altre pronunce giudiziarie per argomentare la sua decisione, che, evidentemente, avrebbe dovuto avere i caratteri dell’originalità, come se si trattasse di un’opera letteraria.
Un’accusa incredibile, se si considera che, normalmente, il copia e incolla è proprio la tecnica più elogiata, quando si concretizza con la fedele adesione del gip alla richiesta cautelare. A difendere Perna era intervenuto pubblicamente il presidente del Tribunale di Milano, Fabio Roia, che aveva respinto con fermezza ogni tentativo di delegittimazione: «Il controllo del gip – si leggeva in una nota – lungi dal dover essere classificato come una patologia, evidenzia il fondamentale principio dell’autonomia della valutazione giurisdizionale» .
La vicenda arriva pochi giorni dopo un altro episodio spinoso, che aveva visto ancora una volta un pm della procura milanese — Francesco De Tommasi, con il visto del procuratore Viola — chiedere l’astensione del gup Roberto Crepaldi dal processo “Pifferi- bis”, che vede tra gli indagati l’avvocato Alessia Pontenani, legale di Alessia Pifferi. Colpa del giudice, secondo il pm, aver contribuito, in qualità di membro della Giunta dell’Anm di Milano, alla stesura di un comunicato in difesa della funzione difensiva, ritenuto dalla procura come una critica all’indagine. Una tesi respinta con decisione, ancora una volta, dal presidente Roia, che ha accusato la procura di utilizzare argomenti «suggestivi e frutto di preconcetti».
La richiesta di astensione, ha scritto, metteva a rischio il principio del giudice naturale e lo stesso diritto del magistrato a esprimersi, in sede associativa, su questioni generali di giustizia. Un’interpretazione condivisa anche dalla Giunta Anm, che ha avvertito il pericolo implicito nella richiesta: trasformare l’espressione collettiva di un sindacato in una “contaminazione” disciplinare del giudice. Un precedente che potrebbe essere devastante, sia per l’unità della magistratura, sia per l’autonomia interna dei giudici, proprio nel momento in cui la magistratura prova a contrastare la separazione delle carriere. E proprio da tali episodi sembra arrivare lo spot più forte alla riforma invocata dal governo Meloni.