È il puro e legittimo esercizio del diritto di difesa. Si chiude così il cosiddetto “Bibbiano ter”, l’indagine per calunnia a carico degli avvocati Rossella Ognibene e Oliverio Mazza, nata nel contesto del processo “Angeli & Demoni” sui presunti affidi illeciti, terminato con una raffica di assoluzioni.

I due legali, difensori della principale imputata del processo, erano finiti sotto inchiesta per aver sollevato, durante l’udienza dell’8 aprile 2024, un’eccezione di incompatibilità delle dottoresse Elena Francia e Rita Rossi a svolgere il ruolo di consulenti della pm Valentina Salvi. L’avviso di conclusione delle indagini era arrivato proprio mentre ii due avvocati stavano pronunciando la loro arringa finale in aula, scatenando la reazione compatta dell’intera avvocatura. L’Unione delle Camere penali, in quell’occasione, aveva denunciato con forza l’iniziativa della procura, coniando l’espressione «delitto di difesa».

Un attacco «improvvido» alla libertà del mandato difensivo, aveva commentato l’Ucpi, secondo cui si sarebbe trattato di iniziative incompatibili con lo Stato di diritto, perché lesive del giusto processo e dell’indipendenza della professione forense. Il caso è esploso, peraltro, pochi giorni dopo la firma da parte dell’Italia della nuova Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione degli avvocati, che all’articolo 6 tutela le dichiarazioni rese in buona fede nell’esercizio della difesa.

Alla fine, il pm di Ancona Ruggero Di Cuonzo, a giugno, ha chiesto e ottenuto l’archiviazione: nessuna calunnia, nessun dolo, e dunque nessuna ragionevole previsione di condanna, come richiede la riforma Cartabia. Ognibene (rappresentata da Nicola Canestrini e Giovanni Tarquini) e Mazza (difeso da Paola Rubini e Barbara Biscardo) avevano presentato l’eccezione anche in una memoria scritta. E secondo il procuratore di Reggio Emilia Calogero Paci, che aveva trasmesso gli atti ad Ancona (competente per i reati contro magistrati di Reggio Emilia), i due legali avrebbero accusato la pm Salvi di condotta criminosa, cosa che, data la pubblicità dell’udienza, sarebbe poi diventata di dominio pubblico.

Ma quella parola, “criminosa”, non è mai stata pronunciata in aula. Si trattava di un ragionamento ipotetico, perfettamente compreso dal Tribunale, che nella propria ordinanza, a seguito dell’eccezione, ha scritto testualmente che «le consulenti non potrebbero non essere ritenute ausiliarie, in quanto altrimenti si tratterebbe di soggetti privati venuti a conoscenza senza alcun titolo di atti segreti, configurandosi così i reati di cui agli articoli 326 o 323 del codice penale». Un’ipotesi argomentata in tre scenari alternativi, il cui scopo era esclusivamente tecnico, ovvero dimostrare l’inammissibilità della prova attraverso un ragionamento per assurdo. Nessuna intenzione, dunque, di ledere l’onorabilità della pm, né di dubitare della sua condotta. L’archiviazione ha confermato che non vi era alcuna intenzione calunniosa, solo l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito.

Non era la prima volta che i due avvocati venivano segnalati per dichiarazioni rese in udienza. Già il 21 dicembre 2022, nel pieno del processo, Ognibene e Mazza erano finiti nel mirino della pm Salvi per aver criticato il tempismo del deposito dell’avviso di conclusione delle indagini – 13 gennaio 2020, una settimana prima delle elezioni regionali in Emilia-Romagna – e per aver denunciato un “stillicidio” di atti depositati in modo incompleto e tardivo. Anche in quel caso, la procura di Ancona archiviò tutto, ritenendo insussistenti gli elementi del reato. Si trattava, in quel caso, del “Bibbiano bis”.

L’intera vicenda lascia una traccia profonda nel dibattito sul ruolo dell’avvocato nel processo penale. Il gip Carlo Masini ha sposato la linea difensiva: si è trattato di una semplice argomentazione giuridica. Niente che possa superare la soglia del penalmente rilevante. Un caso che, paradossalmente, ha rafforzato un principio essenziale: difendere un imputato non è un reato, ma un diritto-dovere, garantito dalla Costituzione. E ogni tentativo di limitarlo – anche se solo sul piano simbolico – rischia di colpire il cuore dello Stato di diritto.

«La nostra vicenda ha dimostrato come il diritto di difesa sia tutt’altro che inviolabile - hanno dichiarato al Dubbio Ognibene e Mazza -. Una garanzia fragile, esposta ad iniziative giudiziarie che dimostrano quanto sia ancora lontana nel nostro Paese la cultura del giusto processo di parti. Anche il solo ipotizzare il delitto di difesa è un vulnus che nessuna archiviazione può definitivamente sanare. Bisogna impegnarsi, anche a livello normativo, perché quanto accaduto a noi non possa mai più accadere a nessun altro difensore».