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Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse 05/08/2025 Belgrado, Serbia Politica Incontro con il Presidente della Repubblica di Serbia Vucic DISTRIBUTION FREE OF CHARGE - NOT FOR SALE - Obbligatorio citare la fonte LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili
Fuoco incrociato del governo contro la magistratura. Quando mancano pochi giorni alla ripresa, nella commissione Affari costituzionali della Camera, della discussione sulla riforma della separazione delle carriere, sia la presidente del Consiglio Giorgia Meloni che tre dei suoi ministri rilasciano dichiarazioni che alzano il livello di scontro con l’Anm. E Cesare Parodi non resta a guardare, con la replica affidata a un’ampia intervista alla Stampa.
Sembra solo l’antipasto delle prossime tre stagioni di ping pong dialettici sempre più feroci tra gli avversari in campo. Ma vediamo cosa è successo nel dettaglio. Qualche giorno fa il ministro della Protezione civile, Nello Musumeci, dal palco dell’Etna Forum ha dichiarato che «il magistrato ha il compito di fare il killer, la stampa ha il compito di darne notizia»; poi ieri, in una intervista a Repubblica, il ministro della Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, ha invocato una riforma sulle valutazioni dei magistrati «perché non è possibile che risultino tutti eccellenti».
Qualche giorno fa era stato il guardasigilli Carlo Nordio a sostenere, forse anche con una iperbole, che «il magistrato che sbaglia deve cambiare mestiere», e prima ancora la premier, dal Meeting di Rimini, aveva assicurato e rassicurato che «giudici politicizzati» non freneranno il cammino della riforma costituzionale che divide la carriera dei giudici da quella dei pubblici ministeri. Insomma, nel giro di pochissimi giorni, l’Esecutivo ha schierato quattro pezzi di peso sulla scacchiera che vedrà fronteggiarsi nei prossimi mesi i due schieramenti sulla riscrittura radicale dell’ordinamento giudiziario.
L’attacco quasi simultaneo sulla magistratura, in particolare su quella requirente, può considerarsi quasi certamente casuale dal punto di vista temporale. Quello che si capirà dalle prossime settimane è se tutto questo possa dare forma a una vera e propria strategia, sempre più ampia, di delegittimazione della magistratura, man mano che si avvicina l’appuntamento referendario.
Se è vero che il ministro della Giustizia, e autore del ddl costituzionale, ufficialmente ha auspicato che il plebiscito non si trasformi in un sondaggio sulle toghe in generale ma punti alle questioni tecniche della riforma, come pure chiede l’Unione Camere penali, è chiaro fin da ora che sarà inevitabile usare argomenti collaterali per vincere la partita. Dall’una e dall’altra parte. Non a caso anche le toghe spesso escono fuori dal recinto argomentativo tecnico, e abbracciano quello più pop per cui, ad esempio, la riforma non va approvata dal popolo perché sarebbe frutto del pensiero del massone della P2 Licio Gelli. Non ci sono, in pratica, regole di ingaggio, per questa battaglia. E Parodi, da presidente Anm, pur essendo una persona mite e non avvezza allo scontro, sa che dovrà sporcarsi le mani e parare diversi tiri.
Oltre che con l’intervista alla Stampa, ieri lo ha fatto anche a margine di un convegno tenutosi in Cassazione. «Se bisogna vincere un referendum denigrando la magistratura, allora questa è una cosa che io non accetto assolutamente, perché vuol dire che forse gli argomenti che ci sono a supporto della riforma non sono così buoni».
Il leader del “sindacato” delle toghe ha poi aggiunto: «Chi parla con una certa leggerezza, specialmente molti giornali e molti mezzi di informazione, di errori giudiziari, anche per vicende che sono ancora in corso, magari in primo grado, dove quindi è tutto da verificare, fa un'attività strumentale, secondo me non condivisibile e finalizzata a danneggiare ulteriormente l’immagine della magistratura presso l'opinione pubblica in funzione di quelli che saranno poi gli esiti referendari».
Parodi mentre parla sta pensando molto probabilmente al ministro Musumeci ma forse pure al dibattito, alimentato dallo stesso inquilino di via Arenula, seguito alla presentazione a Venezia della nuova serie tv firmata da Marco Bellocchio, “Portobello”, sulla vicenda di Enzo Tortora. Così come al caso Garlasco bis, che da molti viene raccontato come un esempio di errore giudiziario, anche se in realtà non lo è (ancora): secondo diversi commentatori la magistratura avrebbe mandato in carcere un innocente – in questo caso Alberto Stasi – perché incapace di fare indagini corrette, e perché non avrebbe cercato un altro presunto colpevole.
In pratica ogni argomento sarà buono per minare dinanzi all’opinione pubblica la credibilità della magistratura. Certo, bisognerà vedere quanto questa tattica potrà funzionare. Lo diranno innanzitutto i sondaggi interni che i partiti hanno già iniziato a commissionare sul tema. Governo e maggioranza potranno limitarsi a fare una comunicazione che miri a presentare la riforma come una soluzione alle degenerazioni del correntismo o dovranno ampliare, come in questi giorni, il bersaglio di tiro?