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CESARE PARODI PRESIDENTE CSM
Cesare Parodi ha un pregio: parla fuori dai denti. È il tratto che lo rende davvero un magistrato, che lo affranca dalla degenerazione politicista in cui parte dell’ordine giudiziario italiano è scivolata da lustri. A volte il candore lo espone a gaffes. Il che può essere un danno ma anche una benedizione.
Nella sua sfacciata innocenza, il presidente dell’Anm ha svelato, in una densissima intervista rilasciata alla Stampa, una raffica di verità indicibili. Accusa il governo, la maggioranza, di voler distruggere l’immagine della magistratura pur di vincere il referendum sulla separazione delle carriere. Gli si potrebbe rispondere che la magistratura non si è fatta alcuno scrupolo nel distruggere l’immagine della politica pur di conquistare un effimero primato nella fiducia degli elettori. È la guerra dei roses fra i poteri dello Stato, bellezza, verrebbe da aggiungere. Ma sarebbe fuorviante.
Piuttosto, in due passaggi la schiettezza di Parodi si traduce in uno spettacolare autogol. Innanzitutto nella tesi per cui il cuore della riforma Nordio, la separazione “sistemica” dei giudici dai pm (due distinti Csm, scatti di carriera e nomine stabilite da giudicanti e requirenti in autonomia gli uni dagli altri) sia un contenuto irrilevante: «È stato inserito per avere il pieno consenso dell’avvocatura italiana». Come se l’articolo 111 non esistesse, come se quel chiarissimo principio costituzionale non reclamasse un giudice “imparziale” ma anche “terzo”, rispetto alle parti, rispetto alla difesa ma anche all’accusa, cioè al pubblico ministero. Come si può ridurre il dettato della Carta a quisquilia per elargire una presunta mancetta agli avvocati? Vuoi vedere che il non detto è “noi magistrati siamo superiori pure alla Costituzione”?
La seconda confessione involontaria riguarda il sorteggio: il giornalista chiede se così verrà stroncato il potere delle correnti, e Parodi – forse per cinismo, ma probabilmente per spirito di verità – replica che, anche con l’estrazione a sorte, le stesse correnti riassorbiranno tranquillamente i componenti togati dei due eventuali futuri Csm, visto che «il 94% circa dei magistrati è iscritto all’Anm e la maggior parte simpatizza per un gruppo associativo». Della serie: guardate che la correntocrazia è immortale. Il che, detto con franchezza, rischia di convincere a votare sì alla riforma pure Elly Schlein.
Parodi squarcia altri veli, con la propria sincerità. È di una correttezza disarmante quando ricorda che il governo, Giorgia Meloni in persona, non ha potuto annacquare il ddl costituzionale sulla magistratura anche perché l’aveva promesso «ai suoi elettori». A un interlocutore di così rara trasparenza ci permettiamo di offrire un po’ di consigli non richiesti. Dismetta lo snobismo con cui l’Anm da trent’anni liquida la separazione delle carriere. Rinunci al tono apocalittico che spinge il suo sindacato a evocare un attacco, in realtà inesistente, che la riforma porterebbe all’autonomia delle toghe, e dei pm in particolare. Accetti, convinca i colleghi ad accettare l’idea che sì, con la separazione delle carriere, i requirenti, le Procure, avranno minor ascendente sui giudici, sui gip soprattutto, riscuoteranno meno successi dunque nelle richieste di carcerazione preventiva con cui si distruggono le carriere dei politici come le vite dei poveracci.
Ma forse i magistrati torneranno a ciò che dovrebbero essere: un ordine dello Stato che esercita un potere, non un contropotere mascherato che corrode le basi della democrazia. Anche perché, ci teniamo a ricordarlo, oggi i magistrati italiani – per cultura, per la selezione a cui devono sottoporsi, dagli studi al concorso – rappresentano in ogni caso un’élite intellettuale che dà un’infinità di piste alla classe politica. E da una posizione del genere, le toghe potranno contribuire alla rinascita civile del Paese in modo assai più incisivo di quanto non abbiano fatto con le 17 indagini e i rinvii a giudizio inflitti ad Antonio Bassolino finiti tutti in inesorabili assoluzioni.