Ribaltato in appello il verdetto di assoluzione pronunciato in primo grado dal Tribunale di Macerata nel 2022 nei confronti di un 31enne che era stato assolto dall’accusa di violenza sessuale e lesioni personali su una minorenne. La Corte d’appello di Ancona lo ha condannato per violenza sessuale ma nell’accezione di minore gravità a tre anni di carcere.

I difensori dell’imputato, presente in aula, gli avvocati Mauro Riccioni e Bruno Mandrelli, ricorreranno in Cassazione. Proprio le motivazioni della decisione di primo grado sono state al centro di un articolo del Messaggero che titolando «Assolto dopo lo stupro – Lei non era vergine, sapeva cosa rischiava» aveva scatenato numerose polemiche.

I fatti 

È il 9 luglio 2019. La presunta vittima è in Italia per motivi di studio. Nella denuncia dichiarava di essere uscita con una sua connazionale insieme a due ragazzi del posto. Giunti nei pressi di un locale, la ragazza restava da sola in macchina con l’imputato perché gli altri due si allontanavano. Secondo l’accusa, «la ragazza si era sistemata in compagnia» dell’imputato «sul sedile posteriore del veicolo e qui dopo alcune effusioni avvenute consensualmente, era stata costretta a subìre contro la sua volontà un rapporto sessuale vaginale completo, non protetto». La ragazza aveva raccontato di aver «manifestato - parlando in inglese - all’imputato la volontà di fermarsi». Secondo la difesa invece il rapporto è stato sempre consensuale.

LA SENTENZA DI PRIMO GRADO

Rispetto alle lesioni riportate dalla ragazza, i giudici sostenevano di aderire alla tesi resa nota dalla dottoressa del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale di Macerata, «che aveva sottoposto a visita specialistica la persona offesa il pomeriggio, evidenziando senza ombra di dubbio la natura ecchimotica di entrambe le lesioni personali occorse alla ragazza (“lesione ecchimotica collo lato sin e spalla dx”), giudicandole guaribili in giorni 8 come da referto versato in atti: lesioni dunque prodotte da un meccanismo di suzione e non da traumi di altra natura».

In più non furono rilevate lesioni ai genitali né altrove. Inoltre non c’era responsabilità dell’imputato sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato in «mancanza di testimoni oculari diretti e dovendosi tenere ben presente che l’atto sessuale era avvenuto all’interno di un veicolo non particolarmente ampio, sul sedile posteriore (che presenta una larghezza all’esterno di 1,8 mt.), che l’imputato è una persona dalla corporatura robusta con altezza pari a 1,86 mt» e la ragazza «non può certo definirsi una ragazzina minuta».

Poi ecco la spiegazione più ampia e contestualizzata del passaggio criticato da molti: «Era rimasta in compagnia dell’imputato, accettando di accomodarsi sul sedile posteriore dell’autovettura e qui di scambiarsi effusioni amorose con lui, senza manifestare sino a quel momento alcuna contrarietà, nonostante fosse evidente a chiunque che fossero giunti in quel posto proprio a tale scopo (si rammenta che per sua stessa ammissione aveva già avuto rapporti sessuali completi e usava la pillola anticoncezionale, dunque era in condizione di immaginarsi i possibili sviluppi della situazione)».

Una frase tra parentesi, tra l’altro, che ha scatenato indignazione generale. Inoltre, «una volta in auto e dopo essersi scambiati alcuni baci e carezze», lei «si era resa perfettamente conto dell’intenzione» di lui «di consumare un rapporto sessuale completo, sia perché glielo aveva chiesto esplicitamente, sia e soprattutto perché aveva estratto dal cassetto portaoggetti un preservativo, che non aveva utilizzato in quanto la ragazza gli aveva riferito di assumere la pillola».

A ciò si aggiungeva il fatto che la ragazza «non aveva in alcun modo opposto resistenza, né invocato aiuto, gridato o pronunciato la famosa parola “ape” concordata» in caso di bisogno con l’amica. Infine, scrivevano i giudici, se è vero che «i messaggi scambiati» dall’imputato con l’amico «denotano sicuramente una scarsa sensibilità e l’appartenenza a una certa sottocultura tipica di alcuni giovani d’oggi, abituati a vantarsi di aver intrattenuto rapporti sessuali fugaci e del tutto occasionali con ragazze appena conosciute» tuttavia «non rappresentano un sicuro indice di aggressività sotto il profilo sessuale». Per tali ragioni, concludono i giudici l’imputato «dev’essere assolto, quanto meno in via dubitativa essendo insufficienti le prove a suo carico».

I MOTIVI DI IMPUGNAZIONE

L’avvocato della parte offesa, il legale Fabio Maria Galiani, aveva tra l’altro scritto nel suo ricorso: «la vittima non è riuscita ad urlare in quanto scioccata dall’aggressione subìta»; «come ritenuto dal Tribunale del Riesame, l’assenza di lesioni ai genitali è normale dato che la ragazza aveva già avuto pregressi rapporti sessuali».

La sentenza, secondo il legale, non avrebbe «valorizzato elementi probatori che confermano la versione della persona offesa: tre testimoni confermano che subito dopo il fatto, in stato di evidente shock, aveva riferito di aver appena subìto una violenza sessuale e di aver cercato di opporsi ma l’imputato era troppo forte e lei era “paralizzata”».

In merito alla parte più discussa della sentenza, Galiani scrive: «Non ci si può esimere dal criticare convintamente l’assunto che vorrebbe la versione della persona offesa non attendibile in quanto avendo accettato di uscire in quattro e di baciarsi in un luogo isolato la stessa doveva immaginarsi che probabilmente avrebbe dovuto necessariamente concedersi in un rapporto sessuale completo, come se non fosse contemplato (diremmo, ormai, scolpito) il diritto di scegliere quanta e quale intimità scambiarsi con un’altra persona».

LA POLEMICA

Secondo i parlamentari del Pd in Commissione Femminicidio, «la sentenza choc» «conferma che in Italia c’è assoluto bisogno di una legge sul consenso». Per loro «la Convenzione di Istanbul è chiara: il consenso a un rapporto sessuale deve essere esplicito, libero e come tale revocabile in qualsiasi momento. Alla Camera è iniziato l’iter il progetto di legge a prima firma Boldrini. La destra non ostacoli l’approvazione» della legge. Pure per la senatrice di Forza Italia Licia Ronzulli «non si può che provare indignazione e amarezza». Intanto il Forum delle donne aveva promosso davanti alla Corte d’appello di Ancona un sit-in per esprimere solidarietà alla ragazza parte offesa. Dato questo contesto i giudici della Corte di Appello hanno deciso serenamente?