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CASSAZIONE
La sesta sezione penale della Cassazione ha annullato senza rinvio il decreto che disponeva il giudizio nei confronti di un imputato calabrese, al quale vengono contestati reati che avrebbe commesso tra il 2018 e il 2019 nei territori di Bianco, San Luca e Rose, i primi due comuni in provincia di Reggio Calabria e il terzo in provincia di Cosenza. Il provvedimento, emesso dal giudice dell’udienza preliminare di Reggio Calabria il 7 aprile 2025, è stato impugnato dal procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, che ne aveva denunciato il carattere abnorme.
La pubblica accusa ha evidenziato che il gup, nell’emettere il decreto di rinvio a giudizio, aveva escluso l’aggravante mafiosa prevista dall’articolo 416- bis. 1 del codice penale, contestata nella richiesta di rinvio a giudizio, senza attivare il confronto con le parti, in violazione dell’articolo 423, comma 1- bis, del codice di procedura penale. Tale omissione, secondo l’ufficio antimafia reggino, aveva generato «una situazione di stallo processuale», poiché non risultava più chiaro quale ufficio del pubblico ministero fosse competente a sostenere l’accusa in dibattimento.
Con la requisitoria del 8 settembre 2025, il procuratore generale Francesca Romana Pirrelli aveva chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso. Ma la Suprema Corte, presieduta da Ercole Aprile e con estensore Fabrizio D’Arcangelo, ha accolto il motivo principale, riconoscendo che l’atto impugnato era viziato da abnormità strutturale.
La sentenza – depositata il 13 ottobre 2025 – si fonda sull’interpretazione dell’articolo 423, comma 1- bis, introdotto dalla riforma Cartabia, che regola le modalità con cui il giudice dell’udienza preliminare può intervenire sulla formulazione dell’imputazione. La norma stabilisce che, se il giudice «rileva che la definizione giuridica non è corretta», deve invitare il pubblico ministero «a operare le necessarie modificazioni». Solo in caso di mancato adeguamento, e dopo aver sentito le parti, può restituire gli atti.
Nel caso dell’imputato reggino, il gup aveva escluso l’aggravante mafiosa direttamente nel decreto che disponeva il giudizio, senza sollecitare il contraddittorio previsto dalla nuova disciplina. Un comportamento che, secondo la Cassazione, esorbita dai poteri riconosciuti al giudice in quella fase.
La Suprema Corte ha ricordato che, in passato, la giurisprudenza consentiva al giudice dell’udienza preliminare di modificare la qualificazione giuridica dei fatti anche in sede di decreto, ma dopo la riforma tale facoltà è venuta meno. La norma, spiega la Corte, ha introdotto il “contraddittorio preventivo” come condizione imprescindibile per qualsiasi intervento del giudice sull’imputazione. «L’articolo 423, comma 1- bis, cod. proc. pen.», si legge in motivazione, «ha introdotto il contraddittorio preventivo quale condizione per l’esercizio da parte del giudice dell’udienza preliminare del sindacato sulla dimensione fattuale e giuridica dell’imputazione».
Il principio affermato dalla Suprema Corte è chiaro: il giudice non può più procedere a modifiche d’ufficio della qualificazione giuridica o delle circostanze aggravanti nel decreto che dispone il giudizio, perché il legislatore ha voluto garantire fin dall’udienza preliminare il pieno esercizio del diritto di difesa. «Il nuovo potere di controllo e di stabilizzazione dell’imputazione previsto dall’articolo 423, comma 1- bis», scrivono i giudici, «esclude il potere del gup di riqualificare il fatto contestato con il decreto che dispone il giudizio». Si tratta, osserva la Corte, di un caso di abnormità strutturale, perché il provvedimento «è espressione dell’esercizio di un potere non riconosciuto dall’ordinamento processuale».
In altre parole, il giudice ha esercitato una funzione che la legge non gli attribuisce, alterando la sequenza regolare del procedimento e determinando un vizio insanabile. Concludendo, la Cassazione ha annullato senza rinvio il decreto impugnato e disposto la trasmissione degli atti al Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria per l’ulteriore corso del procedimento.