Non ha incontrato grandi consensi la decisione del ministero della Giustizia di mettere in campo 500 magistrati per smaltire, facendo udienza solo da remoto, i processi civili attualmente pendenti che rischiano di non far raggiungere gli obiettivi del Pnrr. La proposta di via Arenula (anticipata dal Dubbio lo scorso 7 maggio, ndr) non è stata ancora oggetto di discussione da parte del Consiglio superiore della magistratura. Da quanto si è potuto apprendere ci sarebbe grande freddezza per una iniziativa che ha tutto il sapore di una mossa da “ultima spiaggia”, e che è piena di incognite. È previsto, per i magistrati che accettano di far parte della task force, un punteggio in più in caso di future domande di trasferimento o per incarichi direttivi. Le toghe coinvolte avranno, soprattutto, una indennità aggiuntiva che verrà corrisposta in base al numero delle sentenze scritte. Rispetto ai parametri previsti, l’indennità potrà essere aumentata fino al 60 percento se il magistrato riuscirà a scrivere oltre 50 sentenze nel semestre.

La procedura per il reclutamento dei 500 giudici, però, è alquanto farraginosa. Il presidente di Tribunale o di Corte d’appello “cedente” deve verificare, prima di dare il via libera, che la produttività del magistrato applicato non sia inferiore a quella media del suo ufficio. Il capo dell’ufficio destinatario dell’applicazione, invece, deve assegnare solo i procedimenti maturi per la decisione, assicurandosi che in 6 mesi ogni magistrato riesca a definire almeno 30 procedimenti. Non è chiaro cosa accada se in corso d’opera la produttività del magistrato applicato cali o se non riesca a raggiungere i numeri previsti.

Molte, dunque, le critiche. Si contesta, soprattutto, il fatto che questi magistrati saranno chiamati a decidere procedimenti istruiti da altri. Poi la scelta del “cottimo”: più sentenze vengono scritte e più l’emolumento è sostanzioso. Infine l’assenza di una valutazione ex ante: com’è possibile, si domandano in tanti, che ci siano giudici non in grado di smaltire nei tempi previsti i fascicoli loro assegnati e altri che riescono non solo a smaltirli ma anche a farsi carico di quelli dei colleghi?

Per pagare queste “applicazioni straordinarie”, i soldi sono quelli previsti dal Pnrr e che il ministero della Giustizia non ha ancora speso. Nessuno stanziamento aggiuntivo, come invece si era inizialmente creduto.

La proposta del ministero, comunque, resta a forte rischio flop: secondo rumors di Palazzo Bachelet, difficilmente ci potranno essere 500 magistrati pronti a sobbarcarsi ritardi altrui. E a ciò si aggiunga il fatto che, invece di diminuire, l’arretrato civile sta aumentando, rendendo un miraggio il raggiungimento degli obiettivi di smaltimento concordati con l’Ue (il 40% entro giugno 2026, prendendo come dato iniziale quello del 2019).

Sullo sfondo vi è sempre l’Ufficio per il processo che nelle intenzioni avrebbe dovuto dare un contributo decisivo per lo smaltimento dell’arretrato e che invece non pare aver sortito gli effetti sperati. L’arretrato, per la cronaca, risulta essere “a macchia di leopardo”. Uffici giudiziari simili per dimensioni, nella medesima area geografica e quindi con un contenzioso pressoché uguale, con identiche scoperture di giudici e di personale amministrativo, hanno tempi di definizione dei procedimenti molto diversi fra loro. L’unica risposta non può non essere nell’organizzazione del lavoro da parte dei giudici stessi e, prima ancora, dei capi degli uffici. Sul punto, dopo anni di discussioni interminabili sui carichi esigibili, sarebbe opportuna una presa di posizione del Csm. In altre parole, ciò che manca in questo momento è una vera analisi dei motivi per i quali si creano i ritardi.