Spietati. Irridenti. Bisogna scegliere l’aggettivo. Capire lo spirito. Ma una cosa è certa: i magistrati, e le Procure in particolare, provano ormai un gusto irresistibile nello smontare le leggi del governo Meloni. Hanno preso, poi, particolarmente di mira la legge Zanettin che fissa in 45 giorni il limite ordinario delle intercettazioni. E l’accanimento sembra celare anche l’insofferenza per tagliole così stringenti. Ma spieghiamo i fatti. La Procura di Monza guidata da Claudio Gittardi ha diffuso lunedì scorso una circolare che di fatto rende inservibili le norme da poco approvate ( al secolo, la legge 47 del 31 marzo 2025), e originate da una proposta del capogruppo giustizia di FI al Senato Pierantonio Zanettin, appunto.

CLAUDIO GITTARDI PROCURATORE DELLA REPUBBLICA MONZA
CLAUDIO GITTARDI PROCURATORE DELLA REPUBBLICA MONZA
CLAUDIO GITTARDI PROCURATORE DELLA REPUBBLICA MONZA (IMAGOECONOMICA)

Secondo il capo dei pm brianzoli, il limite dei 45 giorni non deve interpretarsi come riferito “alla durata complessiva dell’attività di intercettazione nell’ambito del medesimo procedimento”, ma solo a un certo slot di “ascolti” chiesto dalla Procura, e concesso dal gip, relativo a particolari elementi emersi nell’indagine. In altre parole: ogni volta che un riscontro o un documento illuminano una nuova prospettiva nella presunta attività criminale oggetto dell’inchiesta, il pm ha il diritto di intercettare. E di intercettare con il limite dei 45 giorni.

Se dopo quei 45 giorni le captazioni non svelano nulla, ma una settimana dopo spunta una persona informata sui fatti che offre all’inquirente uno spunto inedito, riecco che si ricomincia daccapo: richiesta al gip e via con altri 45 giorni “come minimo” (la legge Zanettin stabilisce che se emergono elementi “specifici e concreti” nell’attività di spionaggio, telefonico o ambientale che sia, il limite dei 45 giorni decade).

Non solo. Secondo la lettura del procuratore Gittardi, l’emersione di fatti “specifici e concreti” che consente di sforare il muro del mese e mezzo non deve necessariamente avvenire nell’ultima delle tre “quindicine” autorizzata dal gip. Se già dopo due giorni dall’inizio del primo ciclo di intercettazioni emerge un elemento utile all’indagine, il limite dei 45 giorni è già da considerarsi abbattuto. E qui forse l’interpretazione è più immediatamente condivisibile.

Ma nell’idea per cui, ogni volta che il lavoro investigativo offre nuovi stimoli, il contatore si azzera e si può ricominciare a spiare come se niente fosse, be’, si scorge un’arguzia, ma anche una certa fantasia e, forse, il gusto di cogliere in fallo l’implacabile legislatore garantista. Certo, è plausibile che alla prima occasione in cui, al Tribunale di Monza, il difensore di un indagato si troverà di fronte a materiale intercettato anche dopo i primi 45 giorni nonostante allo scoccare del mese e mezzo gli “ascolti” non avessero prodotto nulla, c’è da credere che si rivolgerà al Riesame e, se necessario, alla Cassazione.

A quel punto pare improbabile che l’interpretazione creativa e della Procura monzese possa reggere, e magari diventeranno inutilizzabili tutti i brogliacci accumulati in virtù della logica “moltiplicatrice” a cui si ispira la circolare. Ma ci resta un sospetto che, per carità, avanziamo senza voler essere né irriguardosi verso il capo dei pm di Monza né sarcastici. È il sospetto che una circolare del genere soddisfi soprattutto l’inconfessato gusto della magistratura nel dimostrare, indirettamente, quanto il legislatore – tanto più se irriducibilmente garantista come i parlamentari di Forza Italia – possa essere smentito, disarticolato, colto in fallo, appunto, nella scrittura dei provvedimenti.

Con la legge Zanettin era già accaduto a Messina: in quel caso la Procura aveva notato, sempre in una circolare, firmata a inizio maggio dal capo dei pm Antonio D’Amato, che il sudoku dei rimandi normativi rendeva il limite dei 45 giorni inapplicabile ai reati di corruzione. Ora ecco la versione di Monza, ancora più devastante rispetto alla tenuta complessiva della nuova disciplina. È una lotta, si dirà. Ma chi pensa che la vita del legislatore sia facile, è meglio che cambi mestiere.