La Corte di Giustizia dell’Unione europea smantella il decreto Paesi sicuri, rendendo, di fatto, inapplicabile anche il decreto Albania. La sentenza depositata oggi dalla Corte, di fatto, renderà i centri in Albania, già di fatto un monumento allo spreco, fermi almeno fino al 2026, quando entrerà in vigore il regolamento europeo che consentirà di definire sicuri Paesi terzi anche con eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili. Fino ad allora, però, uno Stato membro dell’Unione non potrà designare un Paese come sicuro se non garantisce condizioni di sicurezza per tutti. Ma non solo. Sia il richiedente asilo sia il giudice devono essere messi nelle condizioni di poter visionare le fonti in base alle quali il governo ha inserito quel Paese nella lista, per garantire un effettivo diritto alla difesa. E il giudice può disapplicare la norma nazionale, qualora in contrasto con il diritto sovranazionale. Una sentenza, insomma, che riafferma il primato del diritto dell’Unione sulle normative nazionali.

La vicenda trae origine dal caso di due richiedenti asilo bengalesi, trasferiti nel Cpr di Gjadër in Albania, le cui domande di protezione internazionale sono state respinte in via accelerata sulla base dell’elenco di Paesi sicuri stilati dal governo col decreto legge 158/2024. Impugnato tale diniego, il Tribunale di Roma ha rinviato la questione alla Corte di Giustizia, chiedendo di sapere se sia compatibile con il diritto Ue che sia il legislatore a designare un Paese come sicuro; se questa designazione possa avvenire senza rendere note le fonti di informazione utilizzate; se il giudice possa comunque verificare la sicurezza effettiva anche attraverso proprie fonti e e se sia lecito considerare “sicuro” un Paese per la generalità delle persone, pur escludendone alcune categorie.

La Corte chiarisce, in primo luogo, il diritto di stilare una lista di Paesi sicuri anche per via legislativa, ma ciò non esime gli Stati dall’obbligo di garantire un pieno controllo giudiziale sul rispetto dei criteri materiali previsti dall’ordinamento europeo. In altre parole, il legislatore nazionale non può “blindare” l’elenco dei Paesi sicuri, ma deve consentire al giudice di controllare se tale designazione rispetti le condizioni della direttiva europea. In secondo luogo, è illegittima, secondo i giudici di Lussemburgo, qualsiasi forma di designazione non accompagnata da fonti accessibili, verificabili e attuali. Viene così riaffermato il principio secondo cui il diritto a un “ricorso effettivo” non si esaurisce nella formalità processuale, ma richiede la possibilità concreta di difendersi, confutando le presunzioni poste a fondamento del diniego.

Insomma, il progetto Albania, che già aveva prodotto scarsi risultati - con 73 persone trasferite nel 2024 su 3mila posti disponibili e 140 nel 2025 a 114.000 euro al giorno, quasi tutte rientrate in Italia - è fallito. E non ha avuto nemmeno l’effetto deterrente ricercato: gli sbarchi sono aumentati, passando dai 33.780 nel 2024 ai 36.600 del 2025. La sentenza, ora, apre la strada ad un mare di ricorsi e di richieste di risarcimento da parte di chi è stato trattenuto illegittimamente.

Dura la reazione del governo: una decisione che «sorprende», si legge in una nota diffusa da Palazzo Chigi, secondo cui «ancora una volta la giurisdizione, questa volta europea, rivendica spazi che non le competono, a fronte di responsabilità che sono politiche. La Corte di Giustizia Ue decide di consegnare a un qualsivoglia giudice nazionale la decisione non sui singoli casi, bensì sulla parte della politica migratoria relativa alla disciplina dei rimpatri e delle espulsioni degli irregolari. Così, ad esempio, per l’individuazione dei cosiddetti Paesi sicuri fa prevalere la decisione del giudice nazionale, fondata perfino su fonti private, rispetto agli esiti delle complesse istruttorie condotte dai ministeri interessati e valutate dal Parlamento sovrano». Un passaggio, continua la nota, che «dovrebbe preoccupare tutti – incluse le forze politiche che oggi esultano per la sentenza - perché riduce ulteriormente i già ristretti margini di autonomia dei governi e dei Parlamenti nell’indirizzo normativo e amministrativo del fenomeno migratorio. La decisione della Corte indebolisce le politiche di contrasto all’immigrazione illegale di massa e di difesa dei confini nazionali». Ma il governo «non smetterà di ricercare ogni soluzione possibile, tecnica o normativa, per tutelare la sicurezza dei cittadini». Per il ministro della Giustizia Carlo Nordio, «la sentenza riconosce il diritto dell’Italia a designare un Paese terzo come “Paese di origine sicuro” anche tramite un atto legislativo - ha dichiarato -. Il giudice, dice la Corte, deve accertarsi dell’affidabilità delle informazioni dalle quali deriva il suo convincimento e darne adeguata motivazione. E non sembra che questo sia sempre avvenuto». Duro anche il commento del vicepremier Matteo Salvini, che bolla la decisione come «scandalosa e vergognosa», accusando l’Europa di «cancellare la sovranità nazionale». Di tutt’altro tenore la reazione dell’Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, secondo cui «sorprendono e preoccupano» le dichiarazione di Meloni «che accusa (anche) la Corte di giustizia dell’Unione europea di invadere la sfera politica del legislatore, ma evidentemente non le è chiaro il principio della separazione dei poteri che fonda le democrazie costituzionali» e ricorda che «il diritto d’asilo è un diritto fondamentale, non una questione politica». Sulla stessa linea anche l’Associazione nazionale magistrati, con il presidente Cesare Parodi che precisa: «Nessuno “remava” contro il governo. Era stata proposta una interpretazione dai giudici italiani che oggi la Corte di giustizia dell’Unione europea dice essere corretta». A intervenire anche Silvia Albano, la magistrata di Md finita più volte nel mirino del governo per le sue decisioni sui migranti: «La corte di Giustizia ci ha dato ragione e conferma che avevano capito la sentenza della del 4 ottobre scorso della stessa Corte, anche se era scritta in francese – ha commentato al Dubbio -. Posso solo dire che noi siamo sempre stati sereni, consapevoli che stavamo facendo solo il nostro lavoro. Quello che preoccupa è la sempre maggiore insofferenza per i limiti di legalità cui anche le maggioranze di governo si devono attenere in una democrazia costituzionale».

L’opposizione incalza. Per la segretaria del Pd Elly Schlein, il governo ha «calpestato i diritti dei migranti e sprecato oltre 800 milioni di euro». Giuseppe Conte (M5S) parla di «sonoro schiaffo» alla linea Meloni. Per Riccardo Magi (+Europa) è una «Caporetto giuridica», mentre Matteo Renzi avverte: «Giorgia Meloni sta sprecando in Albania centinaia di milioni di euro del contribuente nonostante che i giudici di tutto il Pianeta le stiano dando torto. Spero che adesso finalmente si fermi. Anche perché i prossimi giudici che si occuperanno del caso saranno i giudici della Corte dei Conti. E lì, come noto, i politici rispondono personalmente».