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FOTOGRAFIE EFFETTUATE DALL’ELICOTTERO POLI 114 DELLA POLIZIA DI STATO 1° REPARTO VOLO PALAZZO DELLA CONSULTA CORTE COSTITUZIONALE PANORAMICA AEREA PANORAMICHE AEREE DI ROMA
Lo ius sanguinis resiste. Con la sentenza n. 142, depositata ieri, i giudici della Corte costituzionale hanno dichiarato inammissibili o non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate da vari tribunali – Bologna, Roma, Milano e Firenze – sull’articolo 1 della legge n. 91 del 1992, nella parte in cui consente l’acquisizione automatica della cittadinanza italiana per discendenza, senza alcun limite o legame effettivo con il Paese. Per i giudici non è “ammissibile un intervento della Corte costituzionale che limiti l’acquisizione della cittadinanza per discendenza, attraverso una sentenza manipolativa che operi scelte, fra molteplici possibili opzioni, connotate da un ampio margine di discrezionalità e che hanno incisive ricadute a livello di sistema”. In sostanza, la Consulta ha stabilito che non può essere la Corte a porre freni, neppure laddove emergano evidenti storture: figli di cittadini italiani nati all’estero, mai venuti in Italia, senza conoscere la lingua né avere alcun legame con la cultura o l’ordinamento nazionale, possono continuare ad acquisire la cittadinanza automaticamente, per sola discendenza. Modificare questa impostazione – ha affermato la Consulta – comporterebbe una scelta tra “molteplici opzioni” normative, che avrebbe “incisive ricadute di sistema” e richiederebbe un grado di discrezionalità incompatibile con il ruolo del giudice costituzionale.
Le questioni sono giunte alla Corte a partire da giudizi di accertamento della cittadinanza avviati da ricorrenti che sono discendenti di cittadini o cittadine italiani, ma sono nati all’estero, sono ivi residenti e hanno la cittadinanza di un altro Stato. I Tribunali rimettenti hanno censurato tale normativa nella parte in cui non stabilisce alcun criterio idoneo a garantire l’effettività del legame con l’ordinamento giuridico italiano che, secondo i rimettenti, non sussisterebbe nei casi richiamati.
I giudici costituzionali hanno precisato che il legislatore vanta “un margine di discrezionalità particolarmente ampio” nell’individuare i presupposti dell’acquisizione della cittadinanza, mentre alla Corte compete accertare che le norme che regolano l’acquisizione dello status civitatis non facciano ricorso a criteri del tutto estranei ai principi costituzionali o che contrastino con essi.
In particolare, sono state reputate inammissibili le censure concernenti gli articoli 1, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione ai vincoli imposti dal diritto dell’Unione europea. Parimenti, è stata ritenuta inammissibile la questione sollevata sull’articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli obblighi internazionali, non avendo i rimettenti individuato quale fosse la norma internazionale violata dalla quale discenderebbe il mancato rispetto dei richiamati obblighi.
Inoltre, la Corte ha dichiarato non fondate le questioni con cui veniva lamentata una irragionevole disparità di trattamento fra la citata disciplina e altri meccanismi di acquisizione della cittadinanza. Per tali censure, la Corte ha ritenuto che difettasse la “sostanziale identità di situazione” che deve, invece, sussistere per poter accertare tale vizio di incostituzionalità.
Da ultimo, la Corte ha respinto le richieste di pronunciarsi in merito alla nuova disciplina – introdotta, nella pendenza del giudizio, con il decreto-legge numero 36 del 2025, convertito nella legge numero 74 del 2025 – che ha posto limiti all’acquisizione della cittadinanza iure sanguinis. La Corte, infatti, ha chiarito che tale disciplina non trova applicazione ai giudizi dai quali si sono originate le questioni di legittimità costituzionale sottoposte al suo esame.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, parlando dalla Farnesina, ha difeso l’impianto della legge, ma ha aperto alla possibilità di migliorie.