Gli uffici dell’Urbanistica del Comune di Milano sarebbero stati asserviti all’utilità di una cerchia ristretta ed elitaria di soggetti privati, che avrebbero imposto programmi e interventi di un’imponente espansione edilizia. Per questo motivo sussisterebbe un pericolo concreto, anzi quasi una certezza, che in assenza di misure cautelari gli indagati proseguano nell’alimentare e trarre profitto da questo sistema. A dirlo è il gip Mattia Fiorentini, che ha accolto la richiesta dei pm di Milano disponendo il carcere per il costruttore Andrea Bezziccheri e i domiciliari per l’ex assessore Giancarlo Tancredi, il “re del mattone” Manfredi Catella, l’ex presidente della Commissione per il Paesaggio Giuseppe Marinoni, per il suo socio in affari e manager Federico Pella e per l’architetto Alessandro Scandurra. Tutti sono accusati a vario titolo di falso, corruzione e induzione indebita. L’inchiesta, che conta più di settanta indagati, vede tra le persone coinvolte il sindaco Beppe Sala. Ciò nonostante le persone coinvolte si siano dimesse dai rispettivi incarichi, rendendo dunque complicato ipotizzare una reiterazione del reato.

Grave il giudizio del gip su Marinoni, i cui whatsapp sono definiti emblematici di corruzione tramite la copertura di un ruolo pubblico, all’interno di un sistema consolidato di corruttela e commistione tra interessi pubblici e privati. Un sistema rodato, remunerativo e da difendere a oltranza, che sarebbe stato avallato dai rappresentanti della politica locale, stravolgendo la pianificazione urbanistica e concentrandola nelle mani di un ristretto gruppo sensibile alle pressioni delle lobby edilizie. Il giudice non ha però riconosciuto alcune accuse a Marinoni relative ai progetti Bastioni di Porta Nuova, Corti di Baires, Portali - Gioia 20, Tortona 25, Porta Romana e al Pirellino. Per questi due ultimi rimane l’accusa a Scandurra in concorso con Catella. Per Tancredi restano le ipotesi di corruzione. L’induzione indebita contestata a Tancredi, Marinoni, Catella, Sala e Boeri è stata ritenuta insussistente: non sono state ravvisate utilità per Marinoni in cambio del suo parere sul Pirellino. Crolla, dunque, l’accusa più grave nei confronti del primo cittadino, che rimane comunque indagato per false dichiarazioni su qualità proprie o personali. «Non ho mai posto in essere nessuna azione che abbia avuto finalità personali», ha commentato Sala tirando un sospiro di sollievo. Ma la vicenda rimane comunque una tegola sulla sua amministrazione.

Per il gip – che ha ascoltato gli indagati giovedì scorso durante l’interrogatorio preventivo introdotto dalla riforma Nordio – sarebbe ravvisabile il pericolo di reiterazione dei reati. Il sistema corruttivo ruoterebbe attorno alla Commissione per il Paesaggio del Comune di Milano, la cui composizione — interamente formata da liberi professionisti operanti sul territorio — la renderebbe particolarmente vulnerabile a pressioni e fenomeni corruttivi. Importanti costruttori privati, grazie alla presunta corruzione di Giuseppe Marinoni, del vicepresidente Giovanni Oggioni e di altri componenti come Scandurra, avrebbero potuto ottenere anticipazioni, informazioni privilegiate e un trattamento di favore nelle pratiche urbanistiche di loro interesse. La Commissione, pur non retribuita, eserciterebbe ampi poteri discrezionali, tra cui quello — determinante — di autorizzare deroghe alle norme morfologiche previste dal Pgt 2019, permettendo così di aggirare i piani attuativi. Questo la renderebbe ancor più appetibile per chi volesse influenzarla illecitamente. Un simile organismo — secondo il gip — rappresenterebbe un centro nevralgico per gli operatori interessati a costruire in deroga, in quanto sarebbe in grado di autorizzare aumenti di volume e deroghe agli indici morfologici, di fatto obliterando il piano attuativo. Questo lo renderebbe terreno fertile per clientelismo, conflitti di interesse e mercimonio della funzione pubblica. Il tutto sarebbe stato reso possibile anche grazie all’avallo dei rappresentanti della politica locale, in particolare dell’assessore Tancredi, il quale, secondo il gip, avrebbe creato i presupposti per i conflitti di interesse, interferendo nelle decisioni della Commissione e favorendo consapevolmente Marinoni, da lui stesso nominato. Ciò sarebbe stato accompagnato dal rilascio disinvolto di titoli edilizi illegittimi, preceduto da mistificazioni, omissioni strumentali e da un sistematico aggiramento delle norme morfologiche, nonché delle procedure previste per il controllo regionale.

Il canale del convenzionamento privato, l’uso manipolatorio dei termini, e l’attribuzione alla Commissione di poteri non previsti dalla normativa vigente avrebbero finito per stravolgere il quadro della pianificazione urbanistica milanese, concentrando enormi poteri in un ristretto gruppo fortemente esposto alle pressioni delle lobby costruttrici. Un sistema, secondo il gip, consolidato, efficiente e redditizio, al punto da dover essere difeso a oltranza. E a ciò risponderebbe il tentativo di approvare il cosiddetto “decreto salva Milano”, un modo per legittimare ex post le deviazioni morfologiche e i titoli edilizi viziati. Per tale motivo, secondo il giudice, i soggetti coinvolti sarebbero pienamente consapevoli che le regole urbanistiche venivano sistematicamente piegate agli interessi degli investitori. Il sistema sembrerebbe avviato, accettato e istituzionalizzato, tanto da permettere a soggetti privati di esercitare pressioni persino sul sindaco Sala, minacciando la sospensione degli investimenti o azioni giudiziarie, qualora i progetti milionari non fossero approvati.

Da un lato, dunque, professionisti e imprenditori avrebbero dettato le regole (fino a incidere sul piano legislativo) per tutelare i propri privilegi; dall’altro, pubblici ufficiali avrebbero messo il proprio ruolo al servizio di interessi privati, subappaltando la pianificazione del territorio agli speculatori. Un fronte comune — secondo il gip — accomunato da convergenze di interessi economici e politici. Nei rispettivi interrogatori, nessuno degli indagati ha riconosciuto l’esistenza del “sistema”. Una strategia legittima, per Fiorentini, ma che rivelerebbe a suo dire l’intenzione di non dissociarsi, alimentando la tenuta e la difesa collettiva del meccanismo. Insomma, ancora una volta il silenzio o il fatto di dichiararsi innocenti equivale ad una macchia per l’indagato. Una dinamica paradossale, dove il diritto al silenzio o alla difesa individuale finisce per essere letto come prova di un’appartenenza implicita. E così, in assenza di ammissioni, è il sospetto stesso a fare sistema.