Lo si potrebbe definire un principio di crisi di panico. A innescarlo sarebbe la nuova disciplina sul limite dei 45 giorni per le intercettazioni. Quando è stata approvata qualche mese fa, la norma era stata salutata favorevolmente da tutta la maggioranza come argine all’abuso dello strumento investigativo e inserita nella lista delle poche ma buone riforme portate a casa. E invece adesso sembra creare problemi tra gli azionisti di governo.

Com’è noto la circolare interpretativa del procuratore di Messina Antonio D’Amato ha affermato la tesi secondo cui i reati contro la pubblica amministrazione andrebbero esclusi dal novero di quelli soggetti al limite dei 45 giorni. Eppure quando la legge è stata approvata sembrava essere pacifico agli occhi di tutti che quella soglia dovesse valere anche per la corruzione. Adesso invece tutti sembrano avere dubbi su tale aspetto. Tanto è vero che lo stesso deputato Tommaso Calderone, capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia della Camera, e strenuo difensore della interpretazione per cui la regola si applicherebbe anche ai reati contro la Pa, si è reso conto che sarebbe necessario elaborare una norma di interpretazione autentica per dirimere in via definitiva la questione. Ma sono tutti d’accordo all’interno della maggioranza? Per il momento c’è molta cautela. E che non ci sia una posizione netta e compatta tra i partiti che appoggiano l’Esecutivo, lo dimostrano anche le dichiarazioni rilasciate al Dubbio da alcuni parlamentari.

Per la senatrice del Carroccio Erika Stefani, che era stata relatrice del provvedimento in commissione Giustizia, «la proposta diventata legge è frutto anche di un emendamento del relatore, e proprio io ero la relatrice, riformulato dal governo: la norma pare chiara ed equilibrata. In ogni caso, se ci sarà un testo, lo valuteremo.

In generale, a prescindere dal caso particolare, posso dirle che come Lega siamo favorevoli a una riforma complessiva dei reati contro la Pa, come già chiesto con un nostro ordine del giorno accolto dal governo, e non a provvedimenti che intervengano a spot sulla materia». Anche per il senatore Sergio Rastrelli di Fratelli d’Italia, che della commissione Giustizia è segretario di presidenza, benché la norma «appaia sin troppo chiara e lineare già nella sua attuale formulazione» e «solo letture distorte o faziose possono aggirarne il disposto», tuttavia «in caso di eventuale malafede interpretativa, il rimedio è altro».

La chiave di questa prudenza nell’adesione alla “interpretazione autentica” caldeggiata dai forzisti potrebbe essere legata al referendum sulla separazione delle carriere. Ormai lo sappiamo: Giorgia Meloni e Carlo Nordio non vogliono correre alcun rischio rispetto alla vittoria referendaria. E anche se i sondaggi li danno in vantaggio, meglio evitare qualsiasi piccolo intoppo. Tuttavia, se tra qualche giorno la maggioranza approvasse una norma di interpretazione autentica nel senso voluto da Forza Italia, le opposizioni avrebbero gioco facile nell’accusare strumentalmente gli avversari di voler allentare la lotta alla criminalità amministrativa, di favorire “l’impunità tra i colletti bianchi”. Quindi, al di là della questione puramente tecnica, la partita tra maggioranza e opposizioni parlamentari sarebbe di immagine davanti agli occhi dei cittadini. E non è una partita che conviene giocare, a chi vuole arrivare immacolato all’appuntamento referendario.

CUSTODIA CAUTELARE, L’ALTRO REBUS

Intanto ieri alle 20 è scaduto il termine, nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia di Montecitorio, per la presentazione degli emendamenti alla legge di conversione del decreto Sicurezza. Mentre scriviamo, si apprende che Forza Italia, diversamente da quanto ipotizzato, non ha presentato alcun emendamento per inserire l’ interpretazione autentica della norma sulle intercettazioni, in quanto manca, nel provvedimento, l’aggancio a un articolo simile per materia. Ma, rispetto alle esigenze del governo che non avrebbe voluto emendamenti da parte delle forze di maggioranza per non dilatare ulteriormente i tempi, gli azzurri hanno fatto il contrario. «Noi – ha spiegato Enrico Costa all’Adnkronos – insistiamo sul nodo del ricorso alla custodia cautelare» da limitare il più possibile e «sui diritti della difesa da salvaguardare». Costa ne ha fatto una questione di principio, di garantismo giuridico, «che noi di FI non possiamo non porre. Non era possibile non intervenire», ha detto ancora rivolto alle altre forze di maggioranza, dopo l’iniziale intesa “emendamenti zero”. «Vedremo se saranno ammessi», ha concluso il parlamentare. «Per quel che mi riguarda», ha commentato invece a Public Policy la relatrice di FdI, Augusta Montaruli, «il provvedimento va approvato così com’è, perché già accoglie il lavoro parlamentare che era stato fatto e gli accorgimenti tecnici richiesti».

Da parte della Lega, principale sponsor della stretta sulla sicurezza prevista dal decreto, verrà invece presentata solo una manciata di emendamenti, alcuni legati a norme di sostegno all’attività della polizia locale. «Il nostro obiettivo – ha sottolineato il deputato Igor Iezzi – è approvare il testo il prima possibile, come diciamo da tempo, possibilmente entro un paio di mesi» perché «si tratta di un provvedimento già esaminato dalla Camera, poi finito in Senato e ora di nuovo a Montecitorio».