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Nel Transatlantico di Montecitorio, al centro del corridoio che separa l’Aula dai banchi della politica, in una teca c’è la borsa che Paolo Borsellino portava sempre con sé. Anche il giorno della strage di via D’Amelio: la pelle graffiata, la patina di fumo ancora visibile a 33 anni di distanza, da quel 19 luglio 1992. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, quelli del Senato e della Camera, Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sono lì per testimoniare che lo Stato è presente. Ma sono tre donne a dare carne e voce alla memoria: Chiara Colosimo, Lucia Borsellino e Manuela Canale.
«Il 30 giugno 1992 Paolo era qui a Roma - annotò sulla sua agenda grigia un aereo accanto alla sigla “Sco”- e trascorse l’intera giornata a preparare nuove indagini, ancora scosso dalla morte di Falcone ma più determinato che mai a continuare la sua lotta a Cosa Nostra. Solo cinque giorni prima, a Casa Professa, aveva fatto il suo testamento pubblico: un padre che andava incontro alla sua morte con la sola richiesta di essere ascoltato dall’autorità giudiziaria. Cosa che non succederà mai» ricorda la presidente della commissione Antimafia Colosimo.
«Dodicimilaventotto giorni dopo, quella stessa borsa è tornata a Roma, vuota, impregnata dell’odore della pelle bruciata, ma dentro è intatta, come intatto è l’insegnamento di un uomo che solo ha incarnato il senso del dovere più profondo, il rispetto assoluto per le istituzioni, la sete di giustizia per la sua Palermo e per la sua patria tutta». La presidente dell’Antimafia chiude con un appello: «Oggi siamo qui per ribadire da che parte stiamo, per chiedere perdono ai suoi figli se non sempre negli anni è sembrato così, per trasmettere agli italiani l’insegnamento ad essere come questo uomo ci ha mostrato, con la sua vita e la sua morte».
Sul valore privato di quell’oggetto si concentra Lucia Borsellino, la prima figlia del magistrato. «La borsa di papà non era un semplice accessorio: era il prolungamento della sua toga. La portava persino la domenica, piena di appunti, agende e documenti che non avrebbe consegnato a nessun altro. Per noi ha un valore inestimabile: l’ultimo a reggerla, la mattina del 19 luglio, fu mio fratello Tancredi lungo il tragitto dalla casa al mare. È un reperto dell’attentato, ma soprattutto il simbolo dello spirito di servizio che papà ha onorato fino all’ultimo istante».
Quella stessa borsa è stata affidata per anni a Manuela Canale, figlia del tenente colonnello Carmelo Canale, storico collaboratore di Borsellino. «Quando ero bambina - racconta - nei corridoi del tribunale di Marsala il giudice “signor procuratore” me la metteva in braccio, quasi fosse un patto silenzioso che mi faceva sentire grande». Oggi Manuela la riconsegna allo Stato: «Sono orgogliosa di consegnarla alla Camera, custode di democrazia. Sono certa che continuerà a trasmettere legalità e umanità a chi avrà il privilegio di vederla».
Il presidente della Camera Lorenzo Fontana, aprendo la cerimonia, definisce la teca «emblema della costante ricerca della verità. Per questo, quella di Paolo Borsellino «è una eredità che ispira tutti i giorni chi lotta contro la criminalità organizzata, penso a tutti i cittadini che lottano per la libertà e la giustizia». Ricordare Borsellino e gli uomini e le donne che hanno dato la vita nella lotta alla mafia, è «un dovere, il loro sacrificio ha contribuito a far maturare nel Paese un rifiuto della criminalità organizzata», ha concluso Fontana.
Il presidente del Senato Ignazio La Russa confessa «la stessa rabbia di allora» trasformata in orgoglio per un modello d’indagine ammirato nel mondo. «Paolo Borsellino ci ha insegnato a non avere paura della mafia, perché - lo cito - “chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Noi possiamo aggiungere che Paolo Borsellino non muore mai».
La presidente Giorgia Meloni, rivendicando di aver iniziato il proprio impegno politico «all’indomani di via D’Amelio», ribadisce che «il popolo italiano ha diritto di conoscere la verità, e ogni sforzo per raggiungerla sarà sostenuto. Come quello che sta portando avanti la commissione parlamentare Antimafia che con coraggio, con determinazione sta lavorando in questa direzione. Bisogna continuare con una ricerca instancabile per fare luce sulle pagine ancora buie di quegli anni della nostra storia», ha aggiunto la premier.
Il presidente Sergio Mattarella si è avvicinato alla teca: non servono parole, basta lo sguardo. In quella borsa esposta c’è la sfida di un Paese deciso a non archiviare la propria storia. Ora quelle pagine bruciate pretendono di essere riscritte con atti concreti. La borsa resterà nel Transatlantico fino al 30 ottobre, poi verrà trasferita nella sede dell’Antimafia a Palazzo San Macuto.