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ANNA ZAFESOVA GIORNALISTA
Donald Trump e Vladimir Putin hanno la stessa visione del mondo e delle istituzioni. Aspetti in comune che mai come in questo momento affiorano completamente. «Immagino Putin e Trump – dice al Dubbio Anna Zafesova, giornalista de La Stampa e scrittrice - davanti a un bicchiere di vino o ad una birra, mentre si lamentano degli europei, così indecisi, così confusi, così attenti alle forme e alle formalità, mentre loro sono personaggi che con un tratto di penna cambiano il destino dei popoli».
Dottoressa Zafesova, il rapporto tra gli Stati Uniti di Trump e la Russia di Putin apre nuovi scenari globali?
«In realtà è l’amministrazione Trump che cambia l’impatto e gli assetti globali con nuovi approcci valoriali. Vengono spostati tutti i centri di gravità del mondo che avevamo conosciuto, cosa che sicuramente alla Russia di Putin non può che risultare gradita. Gli Stati Uniti smettono di chiedere alla Russia di essere democratica, di rispettare i diritti umani, di non minacciare l’Europa, di non fare la guerra ai vicini. Cosa potrebbe chiedere di più Trump a Putin? Non mancano però grandi contraddizioni. Mi riferisco a quanto è stato scritto e alla realtà dei fatti. Nella dottrina strategica russa, per esempio, si dice che la minaccia principale per la Russia è rappresentata dagli Stati Uniti. Adesso, se pensiamo a quanto sta avvenendo, si dovrebbe probabilmente procedere ad una riscrittura. Oppure non si riscrive la dottrina congelandola, in attesa di vedere cosa accadrà in futuro. Abbiamo capito quest’anno quali sono le idee e le preferenze di Donald Trump e dei suoi uomini. Detto questo, la realtà dei fatti spesso è stata anche molto diversa, perché un conto è dichiarare che i leader europei sono “deboli”, un conto è poi farne a meno. Certe alleanze non si cancellano con un tratto di penna. Voglio ricordare che Donald Trump ha sostenuto che la Crimea è circondata dai quattro lati dell’oceano. Certe volte viene il dubbio che Trump non sappia bene di cosa stia parlando».
Il presidente americano ha definito i leader europei “deboli e confusi”. Vuole dire definitivamente addio al Vecchio continente?
«Sicuramente. Poi, al di là della fenomenologia trumpiana, è sempre esistita negli Stati Uniti, a tratti è anche prevalsa, la dottrina dell’isolamento, del non essere parte di una alleanza transatlantica, di essere un mondo a parte che con il Vecchio continente ormai non c'entra nulla, di non intervenire nelle faccende del mondo, non solo in Europa, ma anche in altri Paesi. Questa è una corrente di pensiero che ciclicamente si presenta negli Stati Uniti. Prima di Trump, si è affermata con George W. Bush, eletto con l’idea di un’America che deve concentrarsi su sé stessa. Con l’ 11 settembre la sua presidenza è passata però sotto il segno della globalizzazione e degli impegni internazionali. Trump e Putin sono accomunati dalla stessa visione, da autocrati, dell’Europa. Molti analisti russi hanno più volte raccontato l’Europa come un continente debole, instabile, considerando il cambiamento dei governi come un segnale di debolezza. La parola chiave di Putin infatti è “stabilità”, quella di Trump è “Trump”. Al presidente degli Stati Uniti piace molto l’idea di un potere che non è soggetto ad un’alternanza esattamente come piace a Putin. L’Europa dei 27, che richiede condivisione di intenti e di obiettivi, è invece tutto il contrario del modo di fare decisionista degli autocrati».
Trump vede in Putin prima di tutto un partner commerciale?
«Credo che Trump veda in Putin innanzitutto un uomo forte, in qualche modo quello che lui vorrebbe essere: l’uomo che non deve chiedere mai, il leader che decide, il quasi monarca. I suoi uomini sicuramente vedono in Putin un partner commerciale e del resto Putin non fa niente per smentirlo. Da quel che sappiamo anche l’ultimo incontro a Mosca con Witkoff e Kushner è stato dedicato in buona parte a potenziali progetti di affari comuni. Trovare una soluzione sull’Ucraina, soprattutto sulle eventuali concessioni territoriali, è praticamente impossibile senza violare almeno il diritto internazionale. Alla fine quindi hanno preferito parlare di potenziali affari, di esplorazione dell'Artico, petrolio, gas e terre rare. Ci sono però delle differenze tra Trump e Putin».
Quali?
«Donald Trump non capisce la guerra. Steve Witkoff nei mesi scorsi si chiese come mai gli ucraini chiedessero i missili per la difesa antiaerea, piuttosto che i dazi doganali a zero. Da imprenditore immobiliare Trump non riesce a capire come si fa la guerra e la considera un business totalmente insensato. Infatti il presidente statunitense continua a parlare di un odio tra Zelensky e Putin, non a considerare la guerra in corso la conseguenza dell’aggressione di un Paese ai danni di un altro. Per Putin invece la guerra e il militarismo sono una parte essenziale e necessaria del suo potere e del potere di un Paese. La sua Russia senza la guerra non può esistere e non riesce a immaginarsela. Anzi, è la guerra che legittima le sue richieste. L’approccio dunque è completamente diverso».
Con quale aggettivo definirebbe l'Europa degli ultimi mesi?
«Se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, potremmo parlare di un’Europa rinata, che si risveglia, che riconosce la propria forza. L’Europa che riconosce di essere in pericolo, di avere dei punti deboli, ma che invece di delegare agli Stati Uniti le questioni fondamentali della propria sopravvivenza, inclusa la sicurezza, prende in mano il proprio destino. Se però rispondo alla sua domanda con un approccio pessimista, potrei parlare di un’Europa indecisa. L’Europa si rende conto, sia a livello di istituzioni che di singoli Paesi, del pericolo rappresentato dalla Russia, però non riesce a dare all’Ucraina un prestito garantito dagli asset russi».


