Leone XIV non sarà un clone di Francesco I. Esauriti gli omaggi di rito, non per questo insinceri, al predecessore, il Pontefice ha cominciato a prendere le distanze sul piano simbolico e anche su quello concreto. La scelta di riaprire l'appartamento papale nel Palazzo Apostolico che Francesco aveva lasciato per trasferirsi a Santa Marta fa parte dei segnali simbolici.

L'aver chiarito di essersi trovato a volte in dissenso con le scelte di Bergoglio al punto da non attendersi la nomina a vescovo è indicazione ancora più chiara. Però non ci sono solo le scelte simboliche, pur tutt'altro che secondarie. C'è anche già stata, in pochi giorni, una vera sterzata politica e non su una questione di poco conto. Sulla guerra in Ucraina.

Bergoglio invocava la pace e Prevost martella sullo stesso tasto. Non è certo questa la differenza. Ma il papa scomparso faceva chiaramente capire di ritenere l'Ucraina e l'occidente alle spalle di quel Paese pienamente corresponsabili del conflitto. Definirlo 'putiniano' sarebbe grossolano e ingiusto. Francesco vedeva benissimo le responsabilità dell'aggressore.

Ma vedeva anche il gioco spericolato e provocatorio che c'era stato dall'altra parte e nel clima manicheo che si è creato da subito intorno alla guerra in Ucraina questo ne faceva una voce fuori del coro e un punto di riferimento per i pacifisti. Sia per quelli che in realtà parteggiano per lo zar sia per quelli che invece, come Bergoglio, vedono le responsabilità di tutti e soprattutto pensano che inseguire la chimera di una vittoria militare ucraina sul campo sia stato un errore tragico.

La posizione di Leone è molto più omogenea a quella dell'Europa e fino a ieri (ma forse di nuovo da domani) degli Usa. Sta con l'Ucraina. Sta con gli aggrediti, anche se certo non sulla linea dei pasdaran più bellicosi. La scelta, che pare quasi certa, di accettare l'invito di Zelensky e recarsi a Kiev depone in questo senso.

La formula che adopera, 'pace giusta e duratura', nel glossario della politica internazionale ha assunto un significato ben preciso. E' probabile che dietro la sterzata filoucraina di Trump, che gli esegeti incuranti del ridicolo attribuiscono alla straordinaria forza persuasiva di Giorgia, ci sia invece in buona misura proprio l'intenzione di non entrare in rotta di collisione col Pontefice. E' un particolare al quale il tycoon dà molta importanza, come dimostrano i suoi sforzi anche economici per condizionare il Conclave.

Se il cambio di rotta possa avere un peso sulle scelte della politica italiana è molto incerto. Oggi il peso del Vaticano è probabilmente molto più forte all'estero che non in Italia. Ma se lo spostamento d'Oltre Tevere dovesse influenzare l'opinione pubblica italiana sensibilmente alcuni effetti potrebbero esserci. La premier ha deciso di tenersi fuori dalla coalizione dei Volenterosi e dunque dalla possibile missione di peacekeeping in Ucraina per diversi motivi, uno dei quali, forse il principale, è la consapevolezza di quanto impopolare sarebbe una missione del genere per la popolazione e dunque per l'elettorato. Ma non partecipare al gruppo ha i suoi costi e Giorgia se ne sta accorgendo in questi giorni, con Macron che nemmeno nasconde l'intenzione di spingerla in panchina e tenerla lì bloccata. Se gli umori dell'elettorato dovessero cambiare il capitolo potrebbe in qualche forma riaprirsi.

Ma se il Papa ha un ruolo attivo, ne ha anche uno passivo, o più precisamente ce l'hanno le circostanze determinate dalla liturgia. Il funerale di Francesco è stata un'occasione diplomatica che ha prodotto un fatto concreto, il riavvicinamento fra Trump e Zelensky.

La premier si augura che l'intronazione di domenica possa andare anche oltre e non su un fronte solo. Spera di cogliere l'occasione per stringere con il cancelliere tedesco Merz un'intesa e così rompere il cordone col quale Macron mira invece a imbrigliarla. Merz sarà sicuramente a Roma e un incontro con tutti i crismi è, se non certo, molto probabile. Ma le speranze della premier italiana vanno molto oltre. A Roma ci sarà certamente il vicepresidente americano Vance ma Giorgia mira alla presenza anche dello stesso Trump. A quel punto Roma diventerebbe giocoforza il crocevia di ogni iniziativa diplomatica sull'Ucraina.