Il regime iraniano non è un monolite assolutista, ma una complessa rete di poteri e di apparati spesso in frizione se non proprio in aperto contrasto tra di loro.

Se il bastone del comando sembra saldamente in mano al clero sciita capeggiato dalla vecchia Guida Suprema Alì Khamenei e protetto dai temili Pasdaran (i Guardiani della Rivoluzione) che insieme formano il blocco ideologico- securitario, esiste una componente laico-riformista espressione di una borghesia urbana più liberale e moderna che, con alterne fortune, si è ciclicamente contrapposta alle derive reazionarie del regime. Dai diritti civili e politici al rapporto con l’Occidente, fino alle politiche sociali ed economiche i due blocchi hanno da sempre orizzonti e strategie discordanti.

La giornalista italiana Cecilia Sala, arrestata il 19 dicembre a Teheran per aver violato delle non meglio precisate “leggi islamiche”, è ostaggio anche di questo conflitto strisciante tra le diverse anime della politica iraniana che con l’elezione del presidente riformista Masoud Pezeshkian si è ulteriormente inasprito. Nessuno dava grande credito alle spinte riformatrici di Pezeshkian, un moderato noto per la sua integrità politica ma che mai era entrato in rotta di collisione con l’entourage della Guida suprema e mai ne aveva messo in discussione l’autorità. E invece nei primi sei mesi di presidenza Pezeshkian ha dimostrato coraggio e autonomia, opponendosi alla nuova stretta sui diritti civili voluta dal Consiglio dei Guardiani.

Ad esempio si è rifiutato di firmare, bloccandola, la legge sulla «castità» che indurisce le sanzioni per le donne che non portano il velo ( hijab) o che lo indossano in modo non conforme con pene fino a 15 anni di carcere e multe fino a seimila dollari. Durante la campagna elettorale Pezeshkian aveva criticato la feroce repressione del movimento “Donna vita e libertà” messa in atto dall’apparto di sicurezza sostenendo di voler abolire la polizia morale, la stessa che nel settembre 2022 aveva ucciso la 19enne Mahsa Amini dando vita alle contestazioni di piazza in tutto il Paese.

La scorsa settimana, sempre su impulso di Pezeshkian, il Consiglio Supremo del Cyberspazio ha approvato all’unanimità l’eliminazione del ban per WhatsApp e Google Play Store che nella repubblica sciita era in vigore da oltre 15 anni. Facebook, X, Instagram, YouTube e Telegram rimangono per il momento proibiti ma Pezeshkian promette che lotterà ancora per limitare le restrizioni su internet come aveva promesso in campagna elettorale.

Anche il delicatissimo dossier della guerra con Israele ha generato non pochi conflitti tra il presidente e il Consiglio dei guardiani. Un esempio su tutti: l’attacco sferrato da Teheran lo scorso primo ottobre contro le città dello Stato ebraico ( circa duecento missili balistici) come raccontò il New York Times è avvenuto alla totale insaputa di Pezeshkian il quale si era più volte espresso contro la rappresaglia per evitare l’escalation bellica pur definendo «criminale» il governo di Benjamin Netanyahu.

I piccoli grandi successi del presidente Pezeshkian non devono aver fatto piacere ai Pasdaran che per sottolineare la propria influenza e la propria superiorità sulla società iraniana continuano a utilizzare l’apparato repressivo come una potente leva politica interna, escludendo qualsiasi forma di diplomazia. L’arresto di Cecilia Sala è figlio anche di questa logica, per questo la trattativa per la sua liberazione appare così complicata.