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President Donald Trump listens during a meeting with Bahrain's Crown Prince Salman bin Hamad Al Khalifa in the Oval Office of the White House, Wednesday, July 16, 2025, in Washington. (AP Photo/Alex Brandon)
Negli Stati Uniti di Donald Trump lo scontro tra poteri - giudiziario ed esecutivo - si fa sempre più aspro. Ieri la giudice distrettuale di San Francisco Trina Thompson ha bloccato il rimpatrio di circa 60mila cittadini provenienti dall’America Centrale e dall’Asia, in prevalenza da Honduras, Nicaragua e Nepal, ed espresso parere negativo sulla revoca dello status di protezione temporanea. Un duro colpo per l’amministrazione trumpiana. The Donald in campagna elettorale e nei primi sei mesi di lavoro alla Casa Bianca aveva promesso di rispedire a casa tutti coloro che si trovano sul suolo americano illegalmente o senza averne più diritto. Particolarmente attiva su questo fronte Kristi Noem, Segretario per la Sicurezza interna. La pronuncia del Corte distrettuale del Nord California ha riguardato il Tps (Temporary status protection), istituito nel 1990 con l’«Immigration Act», concesso ai cittadini costretti ad emigrare e trasferitisi negli Stati Uniti a causa delle difficili o rischiose condizioni di vita nei Paesi di origine. Le organizzazioni forensi hanno più volte sottolineato il valore della protezione temporanea, considerata un’«ancora di salvezza» per centinaia di migliaia di persone.
L’obbligo di lasciare gli Stati Uniti sarebbe dovuto scattare il 5 agosto per circa 7mila nepalesi, mentre la scadenza della protezione temporanea per oltre 50mila honduregni e quasi 3mila nicaraguensi, che si trovano negli Stati Uniti da oltre 25 anni, era prevista per l’8 settembre. Con la pubblicazione della sentenza tutte le espulsioni sono congelate fino al prossimo 18 novembre, data della nuova udienza. Nel frattempo, dunque, il Tps rimane efficace.
Trina L. Thompson – nominata quattro anni fa giudice distrettuale dall’ex presidente statunitense Joe Biden - ha criticato le politiche migratorie dell’amministrazione Trump con passaggi tanto chiari quanto critici. «La libertà di vivere senza paura – scrive -, l’opportunità della libertà e il sogno americano. Questo è tutto ciò che cercano coloro che si sono rivolti a questa Corte. Invece, viene detto loro di espiare una colpa per la loro razza, di andarsene a causa del loro nome e di purificare il loro sangue. Per questo la Corte non è d’accordo». La giudice di San Francisco ha affermato che si stanno intaccando le tutele dello status di migrante, senza una «revisione oggettiva delle condizioni del Paese di provenienza del cittadino straniero», prendendo come esempio la violenza politica in Honduras e l’impatto che hanno avuto recenti eventi atmosferici (uragani e tempeste) in Nicaragua. Secondo Zac Montague del “New York Times”, la sentenza di Trina L. Thompson mette in crisi «gli stereotipi xenofobi e le teorie cospirative razziste» del Segretario per la Sicurezza nazionale Kristi Noem, immortalata nella primavera scorsa, durante una visita in un carcere di El Salvador, davanti a decine di venezuelani dietro le sbarre (espulsi dagli Stati Uniti).
La Corte di San Francisco ha esaminato il valore delle tutele estese agli immigrati. Nel caso in cui venissero abrogate, i cittadini interessati potrebbero perdere il lavoro, l’assicurazione sanitaria, la separazione dalle loro famiglie e il trasferimento in altri Paesi con cui non hanno legami, per non parlare delle conseguenze economiche. La revoca dello status di protezione temporanea nei confronti dei 60mila cittadini provenienti da Nepal, Honduras e Nicaragua comporterebbe una perdita di 1,4 miliardi di dollari.
Esultano gli avvocati della “National Tps Alliance”, organizzazione che riunisce i cittadini beneficiari della protezione temporanea negli Stati Uniti e che ha promosso il giudizio davanti alla Corte di San Francisco, secondo i quali le politiche in materia di immigrazione di Noem sono state dettate solo dalle promesse elettorali e motivate da ostilità razziale. Thompson ha confermato la tesi difensiva dei querelanti, sostenendo che le dichiarazioni rilasciate da Kristi Noem e Donald Trump sono demagogiche ed errate, basate sulla «credenza discriminatoria secondo cui alcune popolazioni di immigrati sostituiranno la popolazione bianca». «Il colore – si legge nella sentenza - non è né un veleno né un crimine». Nessun commento, per il momento, da parte del Dipartimento per la Sicurezza interna. Noem si trova in Sudamerica, dove sta chiudendo una serie di accordi per contrastare l’immigrazione illegale. Gli Stati Uniti faranno un uso sempre più massiccio di tecnologie biometriche in collaborazione con il Cile per controllare i flussi migratori e smantellare le reti criminali. Se le barriere anti-migranti sembrano forti, le fondamenta legali su cui poggiano sono friabili, come stanno dimostrando i giudici americani.