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CESARE PARODI PRESIDENTE ANM
Partiamo da lontano. Da una cosa che non c’entra nulla con la separazione delle carriere, l’Anm, Carlo Nordio e il referendum. Partiamo dai cori dei tifosi. Ogni epoca ha la sua hit. Ai tempi di Spagna ’82 c’era Alé oò, semplice semplice. Poi si è passati dalla marcia trionfale di Verdi all’Amico è, fino al più recente successo delle arie inventate dai formidabili tifosi del San Lorenzo, la squadra per cui teneva papa Francesco.
Da un po’ la filastrocca più in voga tra gli ultras italiani per incoraggiare la propria squadra parte con la seguente frase: “Siamo l’armata rossonera, e mai nessun ci fermerà…” (citiamo i milanisti che sono stati fra i primi ad adottarla). Ecco: l’armata. Nel presentare il Comitato per il No al referendum sulle carriere, l’Associazione magistrati ci ha vagamente ricordato un gruppo ultrà, un’armata che annuncia il proprio arrivo nel luogo dove si giocherà la partita.
Naturalmente il mainstream ha registrato il proclama come un ordinario fatto di cronaca. Eppure forse bisognerebbe interrogarsi: è tutto normale? È normale che un sindacato rappresentativo di alti funzionari pubblici, quali sono pur sempre i magistrati, scenda in campo contro una riforma voluta e approvata dall’organo depositario della sovranità popolare, cioè il Parlamento? Non ci vedete nulla di strano? Chiediamocelo. Non lasciamoci ipnotizzare dal rullo compressore delle notizie in rete, che a furia di fagocitare tutto normalizza tutto.
Parliamo di alti funzionari che, vinto un concorso, hanno nelle loro mani la vita dei singoli cittadini. E se ne occupano per conto dello Stato, di cui sono un’articolazione. Si ribellano a una legge, a una modifica costituzionale, comunque legittima, voluta da altre articolazioni della Repubblica. Mettiamola così: l’Italia, come ripetuto sull’ultimo “Dubbio del lunedì”, è in una condizione di conclamata anomalia istituzionale, sistemica, dai tempi di Mani pulite. Con i magistrati, i pm soprattutto, assurti a custodi della morale calpestata dai politici.
Adesso, con la separazione delle carriere contro cui l’Anm marcia come un plotone di ultras, quel paradosso della democrazia sotto tutela giudiziaria dovrebbe estinguersi. E come reagiscono i magistrati all’eventualità? Con una discesa in campo uguale e contraria a quella di Berlusconi nel ’94. Di fatto confermano, implicitamente, l’urgenza della riforma, con il loro gesto. E probabilmente realizzano un clamoroso autogol.
Ma come questo giornale ricorda ormai da quasi un anno, c’è ben poco di scontato, in tutta questa storia. E la sola possibilità che il referendum veda prevalere il Sì alle carriere separate è legata a un atto di ribellione con cui gli italiani dovrebbero scrollarsi lo stato d’ipnosi in cui brancolano da 33 anni. Diciamo che con il “coro” scandito sabato scorso nel loro parlamentino, le toghe hanno provato a indurla ancora, quell’ipnosi. Vediamo se la politica saprà usare le parole giuste per spezzare l’incantesimo. O se si limiterà a ribattere con cori confusi come in una qualsiasi schermaglia fra curve nemiche.