Centinaia nelle ultime settimane, saranno probabilmente migliaia prima del referendum, tanti sono gli articoli apparsi sulla separazione delle carriere, spesso tutti uguali nelle argomentazioni e ormai dal tono vagamente ossessivo.

Per i sostenitori della separazione delle carriere la legge sarà la cura per la giustizia malata, per i suoi oppositori la fine dell’indipendenza della magistratura. Per gli uni e per gli altri una specie di giorno del giudizio.

Non credo che sia così e in realtà non sappiamo nemmeno quello che succederà. Le ipotesi sono due e del tutto divergenti.

La magistratura inquirente, sostengono gli oppositori alla legge, passerà inesorabilmente sotto il controllo del potere politico cessando di essere una garanzia di legalità della vita pubblica. Ma per il momento questo è poco più di un assioma non solo perché la legge non lo prevede, in questo l’articolo 104 della Costituzione non è stato toccato, ma perché ciò potrebbe accadere solo se nello stesso tempo i Pubblici Ministeri perdessero la disponibilità esclusiva della Polizia giudiziaria, come era prima del Codice del 1989, e nessuno, almeno per ora, ha avanzato una ipotesi del genere.

C’è al contrario la possibilità che i Pubblici Ministeri diventino superpoliziotti e di questa eterogenesi dei fini che viene evocata sempre più spesso negli interventi, ha scritto anche Luciano Violante. Pubblici Ministeri sganciati dalla giurisdizione, del tutto arbitri del loro potere che userebbero anche più di prima, un corpo di inquisitori con piena libertà di azione. Non è un’ipotesi tanto peregrina almeno nel prossimo futuro, prima dell’eventuale introduzione di un paventato ma non provato controllo politico.

È anche possibile che non cambi nulla o quasi nonostante la previsione di opposti cataclismi. Di certo, nonostante le aspettative, a breve non cambierà molto perché gli attuali PM saranno sempre lì sino alla pensione e serviranno almeno 4 anni per “produrre” giudici e Pubblici Ministeri provenienti da concorsi separati. Quello che ci sarà subito è un voto politico anticipato rispetto alle elezioni, di fiducia o di sfiducia al Governo.

Nel merito servirebbe guardare la riforma in modo empirico e non in modo pregiudizialmente ideologico. Innanzitutto la previsione di due concorsi distinti è solo una inutile impuntatura che complica l’accesso in magistratura. Giudici e Pubblici Ministeri devono infatti applicare gli stessi Codici e la preparazione non può che essere la medesima perché i primi devono conoscere bene le metodiche delle indagini e i secondi le regole di giudizio per portare loro indagini a buon esito.

Piuttosto bisognerebbe por mano ad una riforma del reclutamento dei magistrati che oggi è del tutto insoddisfacente. Non basta dopo la laurea, aver “centrato”, tre temi, gli orali eliminano solo gli sfortunati e i timidi, per essere idonei per tutta la vita a giudicare tutti gli altri. Oggi i concorsi così come sono sfornano magistrati di 25- 26 anni che non hanno alcuna esperienza né di vita né di lavoro e manca loro spesso quanto necessario per poter decidere sulla vita altrui. Sanno magari tutto  delle massime della Cassazione ma non molto di più. E questo non basta. Il reclutamento qualitativo attuale dei magistrati ha quindi grossi limiti intrinseci che la riforma Nordio certo non risolverà.

Quanto al sorteggio l’argomento “disperato” che l’ANM diffonde è che per sedere al CSM servirebbero particolari attitudini e competenze e quindi il nuovo sistema elettorale farebbe scadere il livello qualitativo del Consiglio. Ma non è affatto vero.

Oltre all’argomento, già più volte ripetuto ma assorbente, con cui si fa notare che nominare il capo di un Tribunale o di una Procura certo non è più difficile di irrogare a qualcuno trent’anni di carcere magari in un processo indiziario, basti pensare al fatto che i candidati al CSM non hanno certo seguito particolare corsi o studi di alta amministrazione.

Sono semplicemente attivisti di corrente che hanno un buon seguito nel loro mondo associativo, alcuni sono anche semplicemente dei segnaposto per loro corrente a Palazzo dei Marescialli. Ne ho visti molti negli anni, magistrati di medie capacità non diversi da tutti gli altri.

Per non parlare, è un paragone calzante ma che si tende a evitare, degli oltre 150 magistrati che sono collocati fuori ruolo in posti strategici e di responsabilità, la Presidenza del Consiglio, il Ministero di Giustizia e altri ministeri, Commissioni parlamentari, istituzioni internazionali e missioni all’estero. Spesso non hanno alcuna preparazione specifica, sono semplicemente cooptati con metodi su cui è meglio tacere. Ma in questo caso nessuno grida allo scandalo.

In realtà il rifiuto del sorteggio obbedisce a due timori non esplicitati: il venir meno della certezza di molti “politici” della magistratura di andare prima o poi a Roma, l’agognato posto cui credono di avere diritto dopo aver compiuto con zelo l’intero cursus honorum correntizio. E soprattutto la riduzione del potere politico della magistratura che da ultimo si è manifestato con la creazione del Comitato per il No al referendum. Sono queste le due ragioni, basta ammetterlo invece di motivare l’opposizione con pretesti.

Anche le critiche all’Alta Corte di Giustizia disciplinare sono più che altro ideologiche e una conseguenza della autoreferenzialità e dei pieni poteri che l’ANM vuole mantenere in capo alle sue correnti.

I magistrati sono pochi, i gradi di separazione tra loro sono minimi e diminuiscono ancora quando si fa parte della stessa corrente. Più o meno tutti sanno per chi hai votato e in magistratura quando si ha bisogno alla corrente ci si rivolge sempre. Quindi, anche nei giudizi disciplinari è meglio evitare commistioni tra eletti ed elettori, tra chi giudica e chi è giudicato.

Certo nel dar vita a questa Alta Corte sganciata dal CSM si poteva fare meglio. È costituita sulla falsariga della Corte Costituzionale ma i magistrati presenti sono giudici di legittimità, in prevalenza in Cassazione, troppo staccati dalla realtà concreta degli uffici giudiziari. Inoltre in grado di appello giudice è ancora l’Alta Corte anche se ovviamente in composizione diversa, e non c’è quindi una grande garanzia di indipendenza dal primo giudizio. Una soluzione non disprezzabile poteva essere inserire nel procedimento il TAR dato che le sentenze disciplinari sono pur sempre provvedimenti amministrativi.

Comunque solo il 10 - 15% dei cittadini esprimerà un voto consapevole. In realtà il referendum sarà un voto non sul tema ostico della legge ma sulla tenuta del governo Meloni, in vista delle future elezioni politiche. La posizione esclusivamente battagliera dell’ANM non sembra del resto nascere da una riflessione concreta ma da una strenua opposizione all’attuale governo. E questo sul piano razionale la indebolisce Forse i No perderanno perché il ciclo del governo Meloni non sembra affatto concluso.

Si voterà in realtà “sui magistrati” e se la fiducia nella magistratura è messa ai voti invece di essere, come in tutta Europa, un elemento fondante e naturale di una società, non c’è da rallegrarsene ed è già questa una disfunzione più profonda, e ormai purtroppo stabile, della legge e di qualsiasi legge che si intenda bocciare.