Forse perché comprensibilmente occupato dalle questioni private e familiari, vista la recente condanna del figlio Ciro in primo grado a otto anni per stupro, e scandalosamente a sei anni dai fatti in Sardegna, o tramortito politicamente dalla discesa dell’ex suo Movimento dalle 5 Stelle, ancora nel titolo, al 5 per cento attorno al quale ormai naviga, ma Beppe Grillo è in silenzio assordante. Così si dice di quello contrapposto alla loquacità di una volta. Che era assordante davvero, fra piazze e invettive elettroniche.

Neanche i risultati elettorali per le regionali in Calabria, dove pure ha corso per la presidenza il pentastellato Pasquale Tridico, dopo quelli delle Marche, dove almeno a correre col sostegno delle 5 Stelle era il governatore uscente del Pd Francesco Acquaroli, hanno fatto rompere il silenzio al comico genovese sul suo blog personale. Dove continuano a dominare argomenti e problemi di energia, ambiente e di economia fra analisi e compiaciuti paradossi.

Com’era accaduto sette giorni prima col 5 per cento delle Marche, così per il 6,3 della Calabria Grillo ha girato la testa dall’altra parte. Un 6,3 per cento inferiore di poco rispetto al 6,5 delle precedenti elezioni regionali di quattro anni fa, ma di parecchio rispetto al 29,4 addirittura delle elezioni politiche di tre anni fa e al 16,2 per cento delle elezioni europee dell’anno scorso. Un trofeo al contrario per Giuseppe Conte, direbbe il generale, eurodeputato e vice segretario della Lega Roberto Vannacci.

E Conte, l’ex presidente del Consiglio ancora nostalgico di Palazzo Chigi e adesso solo presidente di quel che resta del movimento già di Grillo? Da lui è arrivato solo un ringraziamento al fedele Tridico, evidentemente per non avere fatto scendere le 5 Stelle al 5 per cento come nelle Marche ed averne fermato la caduta al già ricordato 6,3.

Più che il calo dell’ora suo Movimento, a tutti gli effetti, dev’essere stata scomoda per Conte la tenuta del Pd in Calabria, dove esso è sceso solo al 13 per cento dal 16 delle elezioni europee e dal 14 per cento delle elezioni politiche. Una tenuta, a livello generalmente più alto su scala nazionale, che allontana obiettivamente la prospettiva sognata da Conte di strappare nel cosiddetto campo largo la candidatura a Palazzo Chigi fra due anni, addirittura vincendo le primarie che dovessero derivare da una riforma della legge elettorale della quale tutti parlano ma nessuno sa dove sia, come la mitica Fenice.

Di questa riforma elettorale temo che chi se ne sta occupando dietro, ma molto dietro le quinte, stia ignorando o sottovalutando il peso che potrebbe avere il presidente della Repubblica Sergio Mattarella se volesse intervenire prima, durante e dopo il percorso parlamentare. Per esempio, ricordando e facendo valere una disposizione europea che vieta di varare riforme elettorali a ridosso delle elezioni, come avverrebbe nell’ultimo anno della legislatura. Una disposizione che trovo francamente di buon senso, per quanto generalmente disattesa sinora in Italia.