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Inevitabilmente e, oserei dire, inesorabilmente ogni notizia che tocca aspetti più o meno sensibili della società porta alla polarizzazione estrema dei commenti, creando fazioni che si contrappongono con violenza sempre crescente e inquinano il dibattito che non è più un franco confronto su posizioni differenti, ma uno scontro aspro e teso a far si che ci si debba necessariamente schierare, con una delle parti, in modo talvolta fideistico.
Così, anche per la vicenda che è stata variamente denominata con endiadi più o meno efficaci ed evocative dei bimbi abruzzesi oggi si assiste a un florilegio di commenti, che si inscrivono in tale desolante modalità, di oraziocuriazionesimo.
Chi ora penserà che, dopo la premessa, mi aggiungerò a uno dei gruppi l’un contro l’altro armati, Roma o Albalonga, resterà molto deluso. Sono reduce dal Convegno che la Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza ha promosso per il 20 novembre, ovvero la giornata internazionale dei diritti dei fanciulli che, con felice intuizione, era intitolato “Essere figli di famiglie fragili”.
Il focus della giornata era teso a porre all’attenzione, tra l’altro, anche la sempre crescente esposizione al digitale dei nostri figli, con tutte le conseguenze negative che dovrebbero essere ben note e che, invece, sono troppo spesso considerate con superficialità dai genitori, sempre più in difficoltà ad affrontare le sfide educative che il nuovo millennio sta quotidianamente presentando. Appare quindi, in qualche modo, anche stridente che una famiglia che ha deciso di vivere con modalità ottocentesche si trovi in questa situazione.
Credo però che il filo conduttore debba essere trovato proprio nel termine “fragile” che davvero si coniuga ormai quotidianamente alla realtà di tante famiglie. Chiunque si confronti con il diritto che si occupa di minori e famiglie sa bene quanto sia divenuto difficile e complicato accompagnare le persone, evitando il conflitto, pre-occupandosi dei minori che sono coinvolti oppure sono oggetto di situazioni che possono essere per loro pregiudizievoli.
Avvocati, magistrati, servizi sociali, educatori, psicologi, neuropsichiatri infantili: oggi sono molti i professionisti che possono partecipare a un giudizio e tutti, nel rispetto delle reciproche posizioni, hanno quale obiettivo di far sì che l’interesse dei minori sia perseguito nel miglior modo possibile.
La Commissione del Cnf che coordino da tempo ha abbracciato l’idea che tutti i professionisti che si trovano ad affrontare questo genere di questioni debbano trovare il modo di fare squadra, di acquisire le soluzioni più efficaci in una prospettiva non adultocentrica ma tesa davvero a fondere le diverse attitudini e competenze in modo da creare le condizioni più confacenti al perseguimento del benessere dei bambini coinvolti.
Ogni situazione ha peculiarità note soltanto a chi se ne occupa che non possono divenire oggetto di cronaca, pena la banalizzazione e polarizzazione delle vite di chi si trova, suo malgrado, sotto i riflettori. Mi piacerebbe allora che questa modalità, di profondo rispetto dei bambini prigionieri di in un momento complicato della loro esistenza, divenisse patrimonio comune di tutti.
Rispetto per una vicenda che deve trovare la migliore soluzione possibile per quella famiglia, rispetto per chi se ne sta occupando - a qualsiasi titolo. Se proprio non siamo più capaci di confrontarci in modo civile e sereno, se proprio l’imbarbarimento da social deve diventare un modus vivendi, credo che almeno tutti dovremmo sentire nel profondo l’esigenza di proteggere chi è indifeso e certamente non conseguirà alcun vantaggio nel sentirsi divenuto oggetto di un interesse mediatico che rischia di essere addirittura controproducente.
Oppure… Oppure troviamo tre Orazi e tre Curiazi, vinca il migliore. Ma lasciamo stare i bambini.


