Un Parlamento logoro, una magistratura diventata blocco di potere - vero e proprio “Sistema” - e poi: pezzi di forze dell’ordine screditati e giornalisti con la vocazione da questurini. Insomma, in questo panorama desolante e desolato solo il colle della presidenza della Repubblica ha retto all’urto dell’antipolitica e al vento del populismo che soffia da più di un decennio.

E da quando Sergio Mattarella ne custodisce il perimetro, il Quirinale è rimasto l’ultimo presidio non negoziabile: rigore e grammatica costituzionale applicata senza eccezioni, senza strappi. Per questo, l’attacco scomposto di Galeazzo Bignami, capogruppo di FdI, ha qualcosa di pericoloso in sé, non per ciò che dice, ma per ciò che implica: trascinare il Colle nel fango della politica politicante, insinuare sospetti su Mattarella, colui che della liturgia istituzionale ha fatto un faro, un metodo, una religione civile.

La Presidenza della Repubblica è una delle pochissime istituzioni in cui la parte sana del Paese ancora si specchia e scorge la parte migliore di sé. Ecco perché evocare manovre oscure è, non solo sciocco, ma pericoloso, è da apprendisti stregoni che giocano col fuoco. E non vorremmo che qualcuno possa immaginare che così facendo si possa "zittire" il Presidente, magari sul dossier russo.

I fervidi interpreti della realpolitik della maggioranza (o del Cremlino) hanno sbagliato indirizzo. Il Quirinale non cederà di un millimetro dalla sua postura istituzionale, non arretrerà nella difesa dei valori della libertà e del diritto internazionale contro gli “stranamore” che minacciano la pace. E Giorgia Meloni ha fatto bene a correggere la mossa avventata dei suoi. Perché il primo compito di un Presidente del Consiglio non è difendere sé stessa, la sua maggioranza o la narrazione di giornata: è proteggere le istituzioni repubblicane. A cominciare dal Colle.