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Anni '80 Archivio Storico/ LaPresse - Le Gemelle Kessler, Alice ed Ellen
Sono abituata a leggere sciocchezze (su quelle tre cose che so). Sono talmente abituata che ho quasi smesso di leggere. Però poi non riesco a evitare proprio tutto.
Tra le cose che più mi affascinano c’è l’ostinazione nel saperla lunga sulle vite degli altri. Insomma mentre ignoriamo più o meno tutto di quello che sta succedendo a noi (è un imperfetto modo per campare) dobbiamo spiegare alle altre persone cose che non ci hanno mai chiesto.
Vale per tutto. Figuriamoci per la morte. E allora il 17 novembre alla morte di Alice ed Ellen Kessler, dopo lo choc e la sorpresa (avevano 89 anni, poi, mica 20), ecco una collezione non esaustiva di commenti evitabili.
«In una società davvero umana, nessuna vita dovrebbe finire così» (Kessler: Pro Vita Famiglia, indotte al suicidio da società malata. Raccontarlo “come una scelta di libertà è un tragico errore”, Ansa). Vabbè è Antonio Brandi di Provita che fa Provita e nessuna sorpresa. «Le gemelle Kessler si aggiungono alla lunga e triste schiera di persone indotte a uccidersi dalle leggi sul suicidio assistito prodotte da una società malata». Mi fa sempre un po’ ridere la certezza con cui molti escludono che possa essere una scelta, perché è una convinzione mica solo di Brandi.
Poi c’è la spiegazione simbiotica genetica (ma perché?): «La scelta fatta di morire nello stesso momento con il suicidio assistito può essere letta come l’effetto estremo di una vita vissuta in una dimensione di totale simbiosi che, per alcuni aspetti, potrebbe rasentare anche dei profili patologici», avrebbe detto Giovanni Biggio, emerito di neuropsicofarmacologia, e io spero sempre sia una incomprensione tra intervistato e intervistatore (“Per Kessler scelta estrema di una vita in simbiosi”. Esperto, tra gemelli affinità biologica forte ma non spiega tutto, Ansa).
Il sondaggio tra i vip, un po’ come una riunione di condominio o un referendum per sapere dov’è che i cani devono pisciare («Scelta lucida», «no, la vita è sacra»: i vip si dividono, Libero). Iva Zanicchi è sconvolta. «La vita è per me così sacra e così preziosa che bisogna avere, diciamolo pure, il coraggio di viverla fino all’ultimo istante perché è un dono prezioso».
E c’è Orazio Schillaci che dice che «c’è allo studio un testo del Parlamento e quindi credo che sia il Parlamento che debba esprimersi su questo argomento così delicato» (Schillaci, “sul suicidio assistito si esprima il Parlamento”, Ansa), come se quel testo fosse un testo decente. Come se questo argomento “delicato” (non commento) meritasse un disegno di legge inutile e dannoso di un legislatore che nemmeno sa copiare le sentenze della Corte costituzionale.
Infine, c’è il reato (bellissimo devo dire) di “induzione al suicidio” (sarebbe “istigazione”, ndr). Chissà se è punibile anche l’abduzione e se con gli stessi anni. E, ultima meraviglia di questa veloce collezione, la legge che in Italia non c’è. Allora, se è vero che non c’è una legge ci sono però, come scrivevo prima, delle sentenze della Corte costituzionale che valgono come legge e se aprite il codice penale e andate all’articolo 580, istigazione o aiuto al suicidio, trovate una nota con l’aggiornamento e quella nota non è che la possiamo ignorare. Quella nota vale come una legge. Quindi in Italia si può, si potrebbe – grazie alla Corte e non al legislatore – in determinate condizioni essere aiutati a morire.
Dico si potrebbe perché da Federico Carboni a Laura Santi l’intoppo principale è stata la lentezze delle risposte delle Asl alla richiesta delle persone di verificare i requisiti stabiliti dalla sentenza 242 del 2019. Quella sentenza ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli articoli 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”.
È una bella sentenza (tutto è migliorabile e ce ne sono altre ma cominciamo da qui). Vi consiglio di leggerla.


