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Matteo Salvini incontra i militanti della lega presso il banchetto sul decreto sicurezza a Largo Argentina, Roma - Sabato 21 Giugno 2025 (foto di Cecilia Fabiano/LaPresse)
È un governo di destra. Così lo definiscono, o almeno lo considerano, le prime linee di FdI e Lega. Dovrebbe dunque tenere, per “statuto”, all’immagine del Paese, o della “Nazione”, comunque vogliamo definire l’Italia.
Bene. Siamo sicuri che un simile, indispensabile prerequisito di qualsiasi destra sia compatibile con un altro ricorrente assioma delle politiche conservatrici, vale a dire l’investimento sulla sicurezza a colpi di nuovi reati e pene continuamente al rialzo? Il quesito sembra legittimo. Perché l’Italia come “Paese insicuro”, infestato dall’illegalità, dalla corruzione come dai criminali di strada, quest’idea sotterranea e spesso sfacciata, stride in modo clamoroso con la difesa dell’interesse nazionale.
Ed è semplice spiegare perché, a cinque mesi dalla definitiva conversione in legge dell’ennesimo decreto sicurezza (il numero 48 del 2025). Il grado di illegalità, per esempio di corruzione, dei Paesi è da decenni affidato a una insensata metronomia: le graduatorie stilate da agenzie come Transparency, che ha quartier generale rigorosamente a Berlino. Graduatorie che si basano, uno pensa, su un instancabile lavoro di raccolta dati dalla magistratura e dal ministero.
Macché: la fonte, unica, di tali classifiche, che di solito ci scaraventano in posizioni di poco superiori al Rwanda, sono le interviste. La percezione. Noi siamo un paese corrotto in virtù della cosiddetta corruzione percepita. Lo dice, quasi inascoltato, da anni, Gian Maria Fara, inventore e presidente dell’Eurispes.
Ora, con la sicurezza è più o meno la stessa cosa. È dai tempi dell’ultimo Berlusconi che il metro della criminalità di strada, almeno il “dato” sul quale si basano le scelte politiche in campo penale, sono le sensazioni. Le interviste. A volte i format televisivi, trasmissioni che setacciano l’Italia a caccia di esempi e videoclip orientati sempre nella stessa direzione. Fino a produrre nel legislatore spinte, compulsioni irrefrenabili, come quella che ha portato a introdurre, nel codice, attraverso il già citato decreto 48/2025, fattispecie come la “occupazione arbitraria di immobili”, ampiamente perseguibili con le norme già in vigore.
Qual è il punto? Che con la “retorica della (in)sicurezza”, con le forzature legislative basate sulle impressioni, si legittima proprio il metodo con cui la berlinese Transaparency descrive l’Italia come il più schifosamente corrotto dei Paesi occidentali. Si conferma un approccio, una logica basata sul rumore di fondo, sul vociare dei media, piuttosto che sulla realtà.
E c’è un’aggravante: perché per la corruzione, certo, il raffronto sarebbe complicato, considerato che in Paesi in cui le indagini sul malaffare pubblico sono condotte da prosecutor sotto il controllo dell’Esecutivo (in Spagna, Francia e, guarda caso, in Germania, oltre che nei Paesi anglosassoni), il tasso di corruzione politica risulterà sempre invariabilmente inferiore al nostro, e quindi anche se Transaperency girasse per i palazzi di giustizia anziché nei bar, cambierebbe poco.
Ma sulla sicurezza, caspita: ogni anno il Viminale sforna dati basati sugli atti formali, cioè sulle denunce e le condanne, e quei dati dicono che la realtà è un’altra, con i reati di strada nettamente inferiori rispetto all’Italia di dieci anni fa. E invece noi ci basiamo sulle voci da caffè o da bacheca social, sforniamo decreti sicurezza ed eleviamo così al rango di oracoli elementi del tutto inattendibili, nonostante lo stesso governo abbia a disposizione i numeri reali.
È una forma sofisticatissima di masochismo. Un masochismo di destra, anti-nazionalista, a voler usare le categorie della destra. Lo chiediamo con il tono e le parole del grande Luciano De Crescenzo: “Ma vi siete fatti bene i conti? Ma vi conviene?”.


