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E adesso chi difenderà i magistrati da loro stessi? Chi fermerà la macchina impazzita di un’Anm che si è gettata nell’agone politico come un partito, un movimento politico qualsiasi? Già, perché quei signori in toga, evidentemente, dimenticano il vecchio adagio di Rino Formica, ovvero che “la politica è sangue e merda”.
“Tutto normale”, direte. Certo, normalissimo: in un paese in cui la magistratura combatte politicamente da almeno trent’anni, che c’è di male se ora si ritrova alla testa di una campagna antigovernativa e se si scaglia, con tanto di logo, contro un referendum che ha attraversato quattro, e dico quattro, passaggi parlamentari?
Ma c’è, stavolta, un che di eversivo nell’aria. Un fruscio inquieto, come di equilibri che si inclinano. Perché una magistratura che prende forma di partito – un partito non votato, non eletto, ma potentissimo – rischia di manomettere i delicatissimi ingranaggi della separazione dei poteri.
E così accade che il procuratore Gratteri, nel pieno della battaglia, citi frasi mai dette da Falcone. Un inciampo, dicono. Ma non è un semplice inciampo. È una crepa nel tempio della giustizia. Dimentica infatti Gratteri, e con lui tutta l’Anm che l’ha voluto alla testa dell’avanguardia togata, che ogni schizzo di fango (o di merda, tanto per onorare Formica) inzacchera la toga che indossa, che non è solo un abito, ma il simbolo più alto e nobile della nostra giurisdizione. E qui torniamo alla domanda iniziale: chi difenderà i magistrati da loro stessi, chi pulirà quelle toghe?


