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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti durante l’illustrazione della legge di Bilancio in occasione della conferenza stampa
Altro che il “nulla” esageratamente contestatole da Romano Prodi, convinto in una intervista appena rilasciata al Corriere della Sera che la premier in carica viva solo della sua “stabilità”, prodotta non dalla propria abilità o dal consenso elettorale e sondaggistico ma dalla perdurante assenza di un’alternativa, perseguita solo a parole dagli avversari accampati fra sigle, ambizioni e tende confezionate dall’infaticabile Goffredo Bettini. Giorgia Meloni ne trova una quasi ogni giorno per mandare in tilt le opposizioni e farle cuocere, esse sì, nel brodo delle polemiche roboanti, persino al loro interno.
Accusata anche o soprattutto dal segretario generale della Cgil Maurizio Landini, che mi sembra spesso il re e imperatore del “campo largo” di cui si contendono il ruolo di vice o di attendente la segretaria del Pd Elly Schlein e l’ex premier pentastellato Giuseppe Conte, almeno nei giorni dispari, perché in quelli pari egli gioca a destra; accusata, dicevo, di avere confezionato con Giancarlo Giorgetti una manovra finanziaria a favore dei ricchi, la Meloni può ora intestarsi per ritorsione l’idea venuta al ministro dell’Economia di ridurre di quasi la metà la tassa sull’oro: dal 26 e rotti per cento al 12,5. Che potrebbe produrre circa due miliardi di euro. Sembra che i risparmiatori italiani custodiscano in casa o nelle cassette di sicurezza delle banche, fra lingotti e gioielli, che prima o dopo avranno bisogno o voglia anche loro di vendere incorrendo nel prelievo fiscale, 5000 tonnellate d’oro. Ripeto in lettere, come in un assegno: cinquemila. Che mi sembrano, salvo errori forse in difetto, più del doppio dell’oro della Banca d’Italia. E cinque volte la quantità dell’oro italiano custodito nel forziere americano di Fort Knox da cui Prodi ha recentemente consigliato il ritiro e il ritorno a casa, non dovendoci e non potendoci più fidare del presidente Donald Trump, come invece fa ancora Meloni guadagnandosene carinerie in privato e ancor più in pubblico.
L’oro privato italiano, diciamo così, su cui Meloni e Giorgetti, o viceversa, hanno messo gli occhi per fare quadrare i conti e smentire gli avversari non è certamente riconducibile ai poveri, anche se fra le pieghe delle statistiche e altre diavolerie come gli accertamenti spuntano spesso fuori poveri di alta fascia, diciamo così, non abbastanza furbi da farla franca del tutto, per fortuna. L’oro sta ai ricchi come la notte al buio, e il giorno alla luce. Vedrete che prima o dopo per questa storia specifica dell’oro a tassazione agevolata per fare cassa l’immaginifico Landini, sempre lui, seguito dalla Schlein, sempre lei, troverà qualche altro venerdì da fare trascorrere in sciopero generale, allungando il già nutrito elenco di ponti più o meno natalizi. E alla Meloni che protesterà, o farà solo la spiritosa, saranno rovesciate addosso le solite accuse di indomito fascismo, attentato alla libertà di sciopero e, più in generale, alla democrazia. Se basteranno, e non verrà in mente a qualche avvocato con buone entrature in qualche Procura della Repubblica di spingerla verso il relativo tribunale dei ministri.


