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Chi se ne importa di quanti anni aveva Ornella Vanoni, di quanti dischi ha inciso Ornella Vanoni, di quella volta a Sanremo, di quella volta a teatro, di quel premio piccolo e di quel premio grande. Chi se ne importa di quanti amori ha avuto Ornella Vanoni. Anzi, di quelli ci importa. Che le sopravviveranno, come le sue canzoni. Dove ci possiamo specchiare, nelle canzoni e gli amori, che poi sono la stessa cosa.
«Aspesi: Ma se ti dico che io mi sento bene, tu ci credi? Vanoni: Sì. Aspesi: E come mai? Vanoni: Perché anch’io mi sento bene». A 90 anni, e pure a 91, quando Ornella ormai era vecchissima e ancora bambina, proprio come Natalia, cinque anni più vecchia, vecchissima e ancora ragazza. Sedute sullo stesso divano della malinconia, dove si specchiano le ragazze e le signore anziane, che poi è la stessa cosa.
Tutti si stupivano perché Ornella Vanoni si fumava una canna prima di andare a letto. Tutti si stupivano che per Gino Paoli valesse una pallottola nel cuore. Ornella non si stupiva, rideva. Degli altri che si stupivano per una canna e per una pallottola nel cuore. Il rimedio alla vecchiaia che assomiglia all’infanzia e alla passione giovanile che assomiglia alla morte, che poi è la stessa cosa.
Finché c’è la voce, non c’è la morte, diceva Ornella. Finché non c’è la morte, c’è la musica. Che poi è la stessa cosa. Ornella è morta, le si è fermato il cuore, che aveva 91 anni, ed era ancora giovanissima, come le bambine acute che sembrano già grandi, come le ragazze che hanno sogni pesanti e desideri frivoli, come le signore anziane che hanno il corpo decrepito e l’anima leggera. Noi ci stupiamo e Ornella, forse, ci speriamo, ride. Senza fine.


