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Martedì scorso, a Palazzo Chigi, si è consumato l'ennesimo atto di un copione ormai logoro: la terza riunione della cabina di regia per l'edilizia penitenziaria. Ministri, sottosegretari, commissario straordinario seduti attorno a un tavolo a snocciolare numeri che sulla carta dovrebbero impressionare: 10.676 nuovi posti detentivi entro dicembre 2027, cantieri che partono, padiglioni che si inaugurano, una macchina organizzativa che teoricamente funziona come un orologio svizzero. Per ora, ci accontenteremo di 506 posti in più a fine dicembre.
Peccato che la realtà delle carceri italiane assomigli più a un orologio rotto, dove le lancette girano all'impazzata senza segnare mai l'ora giusta. E mentre Nordio, Salvini, Mantovano e gli altri membri della cabina di regia si congratulano per i progressi del programma triennale, nei penitenziari si continua a morire, a soffocare, a impazzire. I numeri in agenda sono chiari. Il calendario ufficiale prevede 506 posti da rendere disponibili tra settembre e dicembre 2025 (di cui 445 a cura del ministero delle Infrastrutture), 5.739 nel 2026, 4.074 nel 2027.
Tra gli interventi citati figurano nuovi padiglioni e lotti in diverse carceri (Sulmona, Cagliari- Uta, Livorno, Fossombrone) e lavori a Milano, Brescia, Bologna, Rebibbia e altri. Sulla carta, una montagna di mattoni e moduli che dovrebbe riassorbire una parte del sovraffollamento.
Eppure il problema non è solo contare i posti. È farli diventare reali, sostenibili e dignitosi. Qui si concentra il nodo vero: tempistiche, procedure d’appalto, costi reali, gestione del personale e, soprattutto, l’assenza di misure che riducano la popolazione detenuta — le cosiddette misure “deflattive” — che restano marginali nel progetto governativo. Le voci critiche non mancano: associazioni, garanti e organi di controllo mettono in fila ritardi, appalti fragili, rischi di soluzioni- tampone e la mancata strategia sul versante dei percorsi alternativi alla detenzione.
DOVE IL PIANO INCEPPA
La strategia annunciata dal ministro Nordio punta in parte su moduli prefabbricati — nei fatti container adattati a celle — e su un’accelerazione delle ristrutturazioni. Ma le soluzioni “rapide” hanno già mostrato il loro rovescio. Bandi annullati, aumenti dei prezzi e ricorsi rischiano di rimandare di mesi, se non anni, consegne e risparmi promessi. Per un lotto di prefabbricati previsto per 384 posti la spesa è salita dagli iniziali 32 milioni a oltre 45 milioni: circa 118 mila euro a posto letto. È solo un esempio del fatto che la formula “più posti a costi contenuti” non regge se la procedura è affrettata. La Corte dei conti ha già richiamato l’attenzione: permangono ritardi strutturali nell’attuazione del cosiddetto “Piano Carceri” e criticità nell’organizzazione degli appalti e delle risorse. La cronaca dei dieci anni passati mostra che progetti simili finiscono spesso per incagliarsi su contenziosi, limiti tecnici e carenze di progetto. Se la macchina amministrativa non tiene, i posti restano numeri nei comunicati.
Guardiamo i numeri con l'attenzione che meritano. Il calendario prevede 506 posti disponibili tra settembre e dicembre 2025 – di cui 445 a cura del ministero delle Infrastrutture. Cinquecento posti in un sistema che a oggi conta oltre 62mila detenuti per una capienza regolamentare di circa 51mila. È come cercare di svuotare l'oceano con un cucchiaino. Il 2026 promette 5.739 nuovi posti, il 2027 altri 4.074. Totale: 10.319 unità, a cui si aggiungono gli 859 posti consegnati dal 2022 a oggi, per un totale di 11.178 posti nell'intera legislatura. Cifre che sulla carta impressionano, ma che alla prova dei fatti rivelano tutta la loro inadeguatezza.
Il sovraffollamento reale, riferito al mese scorso, è di circa 16mila detenuti oltre la capienza. Nel migliore degli scenari, ammesso che tutti i cantieri vengano completati nei tempi previsti, ammesso che non ci siano ritardi, intoppi burocratici, problemi con le imprese appaltatrici, arriveremmo al 2027 con un sistema che a malapena riesce a pareggiare i conti. Ma c'è un problema: la popolazione carceraria non sta ferma ad aspettare che i cantieri finiscano. Cresce, si muove, risponde a logiche che hanno poco a che fare con i programmi triennali e molto con le scelte di politica criminale.
Parliamo poi dei tempi di realizzazione. I cantieri che “dovrebbero partire” dall'anno prossimo includono San Vito al Tagliamento, Isili, Forlì, Oristano, Milano Opera, Brescia Verziano, Milano Bollate, Bologna, Roma Rebibbia, Milano San Vittore. Chiunque abbia una minima conoscenza del settore dell'edilizia pubblica in Italia sa che tra il “dovrebbe partire” e l'effettivo inizio dei lavori passa spesso un abisso fatto di gare d'appalto, ricorsi al Tar, varianti progettuali, contenziosi con le imprese. E anche quando i cantieri partono, i tempi si dilatano. Basta guardare la storia recente: quanti progetti sono stati annunciati con grande enfasi e poi si sono impantanati per anni? La casa di reclusione di Sulmona ha visto la luce dopo infinite traversie, i padiglioni di Livorno hanno accumulato ritardi su ritardi.
L'ELEFANTE NELLA STANZA: LA POLITICA PENALE
Mentre si discute di padiglioni e moduli prefabbricati, il governo continua imperterrito sulla strada del carcerocentrismo. Nuovi reati, pene inasprite, una concezione della giustizia penale che vede nel carcere l'unica risposta possibile a ogni problema sociale. Il piano di Nordio è nato vecchio proprio perché ignora questo paradosso fondamentale. Non si può affrontare il sovraffollamento carcerario continuando a riempire le celle più velocemente di quanto si riesca a costruirle. Il Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d'Europa lo ha ribadito più volte: la costruzione di nuove strutture carcerarie non rappresenta una soluzione sostenibile. La vera risposta sta nel ricorso al carcere come extrema ratio, nel privilegiare le misure alternative, nel ripensare radicalmente l'approccio punitivo.
Il portavoce della Conferenza Nazionale dei Garanti, Samuele Ciambriello, lo ha scritto e detto chiaramente: nei provvedimenti governativi non si trovano misure deflattive significative capaci di ridurre in modo strutturale il sovraffollamento. L’edilizia penitenziaria non basta se la politica non affronta ciò che il presidente del senato Ignazio La Russa ha provato, invano, a conciliare tutti: le misure deflattive, come la proposta Giachetti di Italia Viva e Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino. Proviamo a immaginare il 2027, l'anno in cui, secondo il piano, i cantieri dovrebbero aver partorito i loro frutti. Nel migliore degli scenari, e sottolineo “migliore”, avremo circa 11mila posti in più. Ma in questi tre anni cosa sarà successo alla popolazione carceraria? Se continuerà a crescere al ritmo attuale, se la politica penale non cambierà rotta, se non si investirà massicciamente sulle alternative alla detenzione, rischiamo di trovarci esattamente al punto di partenza. O peggio.
Il piano di Nordio non prevede nessuna vera inversione di tendenza. È un piano che insegue l'emergenza senza mai riuscire a raggiungerla, che costruisce soluzioni temporanee spacciate per definitive, che alimenta l'illusione del fare mentre il sistema continua a implodere su sé stesso. Tra tre anni, quando arriverà il 2027, probabilmente ci si ritroverà a parlare dell'ennesima cabina di regia, l'ennesimo piano edilizio, le ennesime promesse. E nel frattempo, nelle carceri, si continuerà a soffrire, a impazzire, a morire. Perché il vero problema non è quanti posti detentivi riusciamo a costruire. Il vero problema è che continuiamo a riempire le carceri più velocemente di quanto riusciamo a svuotarle.