C’è una giovane donna nel carcere di Uta, in Sardegna, tossicodipendente e incinta. Rischia di partorire in una cella. Gli spazi della casa circondariale non sono attrezzati per un evento del genere, eppure lei è lì, con il pancione che cresce e nessuna soluzione all’orizzonte.

L’allarme lo ha lanciato Irene Testa, garante delle persone private della libertà personale della Sardegna: “È urgente trovare una comunità che possa accogliere questa ragazza con il suo nascituro. Gli spazi del carcere non sono assolutamente idonei a un evento di questo tipo”. La garante spiega che l'unico Icam (Istituto a custodia attenuata per madri) della regione non è mai stata utilizzata, è impraticabile. Serve una comunità, una struttura che possa prendere in carico questa donna prima che sia troppo tardi. Ma il tempo stringe e le alternative scarseggiano.

Non è un caso isolato. Nella stessa situazione ci sono altre donne sparse per l’Italia. Nell’Icam di Lauro, in provincia di Avellino, la situazione è persino più drammatica: su 8 detenute madri, 4 sono incinte. Tre tra il quarto e il sesto mese di gravidanza, una in procinto di partorire. Quest’ultima potrebbe essere anche a rischio di infezione. E in questo istituto, pensato appositamente per gestanti e madri con bambini piccoli, manca un ginecologo operativo. Manca anche un pediatra fisso.

I numeri sono implacabili: al momento in Italia ci sono 28 donne madri in carcere, alcune anche incinte, e 26 bambini presenti tra gli istituti femminili di Rebibbia e Bollate e gli Icam di Milano, Torino, Venezia e Lauro. Ventisei bambini che crescono dietro le sbarre, che vivono i loro primi mesi o anni di vita in un ambiente detentivo, per quanto attenuato.

«C’è chi si vanta di questa disumanità», tuona Samuele Ciambriello, garante campano delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. «Può essere il carcere l'unica risposta al reato? Che barbarie!». Le sue parole sono un grido di protesta contro una deriva normativa che sembra andare nella direzione opposta rispetto a quanto auspicato da anni da chi si occupa di diritti dei detenuti e soprattutto dei bambini.

Le nuove norme introdotte con il decreto sicurezza 

Non aiuta il decreto sicurezza approvato dal Parlamento e diventato legge. Anzi, peggiora. La nuova normativa prevede infatti la detenzione per donne incinte e madri, sia per custodia cautelare che per sconto di pena, specificando che essa debba avvenire obbligatoriamente in un Icam. Prima la legge prevedeva il rinvio obbligatorio della pena per donne incinte o con figli con meno di un anno, ammettendo il carcere solo in casi di “eccezionale rilevanza”, e preferibilmente (ma non obbligatoriamente) in un Icam.

«È stato il decreto sicurezza a dare il disco verde per mettere in carcere donne incinte», spiega Ciambriello. «In un articolo del decreto è diventato facoltativo, e non più obbligatorio, il rinvio della pena per donne in gravidanza e per quelle con figli sotto i 3 anni. La politica risponde a una campagna di allarme sociale, per questo a Lauro abbiamo tra le 8 donne detenute 4 incinte, alcune tra il quarto e il sesto mese e una in procinto di partorire, senza la presenza di un ginecologo operativo».

Gli Icam, insieme alle sezioni nido delle carceri ordinarie, dovrebbero servire ad alleviare in qualche modo l’esperienza del carcere ai figli piccoli delle detenute. Sono strutture pensate per “sembrare un po’ meno” un carcere, con aree detentive allestite appositamente per i bambini. Ma resta il fatto che si tratta pur sempre di un istituto detentivo, con tutto quello che questo comporta.

La marcia indietro è ancora più evidente se si guarda a quanto era successo appena tre anni fa. Nel giugno 2022 la Camera dei deputati aveva approvato in prima lettura, con 241 voti favorevoli e 7 contrari, un disegno di legge che andava esattamente nella direzione opposta. Il provvedimento, proposto dal deputato del Pd Paolo Siani, escludeva la custodia cautelare in carcere per le donne incinte o per le madri con figli conviventi di età inferiore a 6 anni.

Per le donne con bambini, il testo promuoveva il modello della casa-famiglia. Solo in casi eccezionali si sarebbe dovuto ricorrere agli Icam. I bambini non sarebbero dovuti vivere in carcere, ma in speciali strutture “protette” pensate per ricreare un’atmosfera il più possibile simile a quella di un normale ambiente familiare. “Le case protette saranno l’unica scelta per far scontare la pena a una donna in gravidanza o con un bambino fino a sei anni di età”, spiegava Siani quando la proposta sarebbe dovuta passare al vaglio del Senato. “Il Parlamento vuole lottare per tutte le persone innocenti, in primis i bambini. È una questione di civiltà”. Quella legge non vide mai la luce anche grazie all’inerzia del governo Conte. E tre anni dopo è successo esattamente il contrario.

Le conseguenze sui bambini, che non hanno colpe

«Sei bambini senza colpe in carcere, perché non in casa-famiglia?», si chiede amaramente Ciambriello riferendosi alla situazione di Lauro. «Nessun bambino o bambina dovrebbe crescere dietro le sbarre. Quali colpe hanno i bambini di madri detenute? E se anche una donna incinta ha commesso un reato, può mai il carcere essere l’unica risposta?». Il garante campano parla di “barbarie” e di “populismo penale, politico e mediatico”. «Il bambino è un'entità a parte, non una cosa unica con la madre. Tutto questo è una barbarie! Possiamo e dobbiamo aiutare questi bambini ingiustamente troppo adulti».

Chi si occupa di detenute con figli sottolinea che, per quanto il modello di custodia attenuata possa avere effetti positivi sulle detenute, si parla comunque di un carcere. Per quanto attenuata, la detenzione viene percepita dai bambini, con potenziali conseguenze negative sul loro sviluppo. Gli esperti concordano nel ritenere sempre necessario il ricorso a misure alternative, come la detenzione domiciliare o le case famiglia protette.

Il tema delle detenute madri apre riflessioni più ampie: sulla detenzione femminile in un sistema pensato soprattutto da uomini, sulla maternità, sull'esecuzione della pena vista come reinserimento e non solo punizione. Ma alcune domande restano senza risposta: quale colpa hanno i bambini che si trovano a nascere o crescere dietro le sbarre? È davvero questo il modo migliore per tutelare la sicurezza dei cittadini?

Intanto, nel carcere di Uta, una giovane donna aspetta che qualcuno trovi una soluzione prima che sia troppo tardi. E a Lauro, quattro gestanti vivono la loro gravidanza in cella, senza un ginecologo che possa seguirle adeguatamente. Ventisei bambini crescono in strutture detentive, pagando colpe che non hanno commesso. La garante sarda continua a fare appello perché si individui con urgenza una comunità o una struttura che possa prendere in carico la detenuta di Uta con il suo nascituro. Ma il tempo passa, rischia di partorire in queste condizioni non civili, e le risposte tardano ad arrivare. In un Paese civile, questo non dovrebbe accadere. Eppure accade.