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IMAGOECONOMICA
Ignazio La Russa non si arrende, e prova nuovamente a sollecitare alla sua maggioranza e al governo un provvedimento che alleggerisca nel breve termine la situazione di insostenibile affollamento nelle nostre carceri. Nel tradizionale scambio di auguri con la stampa parlamentare, il presidente del Senato riparte da lì, dal “no” ricevuto sul mini- indulto che aveva proposto alla premier Meloni. Un diniego che non lo frena, anzi lo spinge a rilanciare: «Visto che mi hanno detto di no, c’è un’altra strada: allarghiamo i criteri per gli arresti domiciliari, subito, prima di Natale».
Il sovraffollamento delle carceri, dice, «è reale» e può essere affrontato intervenendo su ciò che già esiste. E qui entra in scena un altro pezzo del sistema: i giudici di sorveglianza. «Due di loro mi hanno detto che sono sotto numero in modo impressionante, hanno pile di pratiche per benefici e liberazioni anticipate». Da qui la proposta di aumentare temporaneamente gli organici, anche con magistrati onorari, e di ampliare gli spazi per i domiciliari «quando vengono meritati» La Russa presenta il suo piano come una questione di pragmatismo più che di ideologia. E rivendica la propria ostinazione: «Ogni volta che parlo dei detenuti prendo uno schiaffo in faccia, ma non metto la testa sotto la sabbia».
Il riferimento non è solo al governo, ma all'intero clima politico che circonda il dibattito su carceri e diritti. Anche per questo insiste sulla necessità di usare «le norme che già ci sono» e riconosce al governo l’impegno sul piano di ampliamento degli istituti penitenziari.
Dal versante penitenziario a quello più generale del sistema giustizia il passo è breve. Il referendum, un passaggio decisivo dei prossimi mesi, non spaventa il presidente del Senato. Anzi, lo considera un banco di prova senza rischi sistemici: «Avrà conseguenze politiche, ma non drastiche. Non è paragonabile al 2016: Renzi scelse di legare la sua sorte al referendum, il governo Meloni fa l’opposto».
E pone una domanda retorica destinata a pesare nel dibattito: «Se vincono i Sì, i leader dell’opposizione si dimetteranno? Nessuno chiederà a Conte o a Schlein di farlo».
Interpellato sulla legge elettorale, La Russa ribadisce una posizione che negli ultimi mesi ha più volte ripetuto: «Speriamo che sia fatta con il concorso di tutti». Poi, con la consueta vena polemica, affonda: «A sinistra dicono che Meloni vuole fare le riforme per comandare. Ma dicono anche che vinceranno le prossime elezioni. Delle due, l’una». Una frase che fotografa perfettamente la dialettica di queste settimane: opposizioni sospettose, maggioranza compatta nel difendere la cornice riformatrice del governo. La Russa ne approfitta anche per rassicurare sulle tensioni, vere o presunte, tra Meloni e Salvini sul dossier esteri. «Tra loro c’è un rapporto umano molto forte. Sono quasi coetanei, trovano facilmente punti di riferimento comuni». Differenze di linea? «Non costituiscono una difficoltà reale alla tenuta del centrodestra», garantisce. E si concede una frecciata benevola al campo opposto: «Mi auguro che un rapporto così ci sia presto anche nel centrosinistra».
A chiudere, un passaggio sulla manovra: «Siamo un po’ in ritardo, ma speriamo di approvarla prima del 21, quando abbiamo il concerto di Natale con Claudio Baglioni». Una battuta per alleggerire il quadro e restituire la cifra del personaggio: poco istituzionale, combattivo, e sempre pronto a spiazzare il dibattito politico.


