Un nuovo decesso scuote il sistema penitenziario italiano. Nella notte, per cause ancora da accertare, una detenuta è morta nella Casa circondariale femminile di Roma Rebibbia. A seguito dell’accaduto, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha disposto il rinvio persino dei cosiddetti “giochi della speranza”, iniziative previste in occasione del Giubileo della Speranza. Una decisione che diventa, secondo il sindacato, il simbolo di una crisi profonda.

A lanciare l’allarme è Gennarino De Fazio, segretario generale della UILPA Polizia Penitenziaria, che parla senza mezzi termini di «dimostrazione plastica di un sistema carcere che svuota e annulla ogni speranza». «Non la spes contra spem di San Paolo – afferma – ma l’inferno dantesco», sottolineando come la speranza sembri ormai «abbandonata dai ristretti» e sempre più fragile anche tra gli operatori penitenziari.

Secondo De Fazio, a vivere condizioni “infernali” sono soprattutto gli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria, costretti a lavorare in un contesto sempre più violento e degradato. «Patrono pene indicibili per la sola colpa di essere al servizio dello Stato», afferma, ricordando anche il paradosso di dover rispondere al motto “despondere spem munus nostrum”, mentre la realtà quotidiana è fatta di aggressioni e carenze strutturali.

I numeri forniti dal sindacato restituiscono un quadro drammatico: dall’inizio dell’anno si contano 74 suicidi tra i detenuti, 4 tra gli operatori, 68 detenuti morti per altre cause, molte delle quali ancora da chiarire. Le aggressioni alla Polizia penitenziaria, secondo le stime, nel 2025 «sfioreranno o supereranno le 4mila». Solo ieri, a Pavia, un agente è stato pestato fino alla perdita dei sensi ed è tuttora ricoverato in ospedale, aggredito – riferisce De Fazio – per un controllo accurato effettuato su un familiare di un detenuto.

Il problema, spiega il segretario Uilpa, è strutturale: «L’apparato non regge più». I detenuti sono 63.677, stipati in 46.210 posti disponibili, mentre mancano circa 20mila agenti di Polizia penitenziaria. Una situazione che alimenta un «circolo di cattività disumana», con violenze, risse, stupri e tensioni continue sia tra i ristretti sia tra detenuti e operatori.

Secondo De Fazio, il carcere rischia di trasformarsi in un sistema criminogeno, lontano dagli obiettivi costituzionali di rieducazione e reinserimento sociale. «Incattivisce, mette gli uni contro gli altri e restituisce alla società persone ancora più disilluse e problematiche», denuncia.

Da qui l’appello finale: «Al di là dei proclami e senza guardare solo ai detenuti ‘eccellenti’, serve intervenire subito». Le richieste sono chiare: ridurre il sovraffollamento, potenziare gli organici, ammodernare le strutture, garantire assistenza sanitaria e psicologica e avviare riforme strutturali dell’esecuzione penale, soprattutto all’interno degli istituti. Un grido d’allarme che torna a mettere al centro una delle emergenze più gravi e irrisolte del Paese.