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Il carcere di Catanzaro
Sei detenuti deceduti in sei mesi, tutti ufficialmente per arresto cardiaco. Farmaci che tardano 3-4 giorni, visite mediche ridotte a una volta alla settimana e medici introvabili nelle ore notturne. È quello che emerge dalla denuncia sottoscritta all'unanimità dai detenuti della Casa Circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro un documento che non lascia spazi a interpretazioni e che rappresenta, per loro stessa ammissione, il grido d'allarme di un intero istituto in crisi. La lettera, indirizzata al Presidente della Repubblica, ai ministri della Giustizia e della Salute, ai magistrati e alle autorità competenti, racconta di una struttura dove le negligenze mediche sono diventate ordinaria amministrazione. I detenuti non chiedono privilegi: chiedono il minimo, quelle condizioni di dignità e assistenza che dovrebbero essere scontate in qualsiasi istituzione pubblica.
IL FANTASMA DEI MEDICI
Cominciano dai numeri: le visite mediche interne, che dovrebbero essere garantite su richiesta, sono state ridotte a una sola alla settimana. Quando accade, perché spesso non accade. La carenza di personale medico comporta il rinvio costante da una settimana all'altra, con tempi di attesa che si allungano da 14 a 21 giorni per ottenere una semplice prescrizione di tachipirina. In emergenza, la situazione peggiora: quando un detenuto accusa un malore, trovare un dottore diventa quasi impossibile. Se arriva, lo fa a distanza di ore. Se non arriva, il detenuto resta solo con il suo dolore. Il documento evidenzia un paradosso: sulla carta esiste un centro clinico H24. Sulla carta. Perché dalle 20 alle 8 del mattino, per dodici ore ogni notte, nessun medico è fisicamente presente in carcere. Gli infermieri si arrangiavano come potevano, oppure attendono la guardia medica, che impiega dai 45 minuti a oltre un'ora per arrivare.
Dall'insediamento del nuovo Direttore Sanitario, sempre secondo la denuncia, una nuova regola ha trasformato ogni medicina, perfino quelle più banali, in un'odissea burocratica. La tachipirina, il malox, l’enterogelmina: anche questi farmaci comuni ora richiedono una prescrizione medica. Che arriva in ritardo. E quando finalmente arriva, il farmaco viene consegnato con un ulteriore ritardo di 3- 4 giorni. Il risultato è prevedibile: un detenuto con febbre o dolori resta senza cure per settimane, aspettando una ricetta che tarda e un medicinale che non arriva.
L'ASSISTENZA CHE NON C'È
Stando alla denuncia rivolta alle autorità competenti, sarebbero stati eliminato gli assistenti alla persona, i “piantoni”, figure retribuite e gestite da detenuti stessi. Sarebbero stati sostituiti con 3- 4 operatori socio- sanitari dell'Asp di Catanzaro, per una popolazione carceraria di oltre seicento persone. La matematica è spietata: è insufficiente. Di conseguenza, detenuti con gravi patologie, che necessitano di assistenza continua e specifica, sarebbero stati allocati nelle sezioni ordinarie come fossero persone in condizioni normali di salute. Violano questo gli articoli 3, 27 e 32 della Costituzione, scrivono i detenuti. Esiste un solo reparto clinico dedicato ai malati, con undici posti. Sempre pieni. Recentemente è stato allestito un reparto semi- clinico al primo piano, un'idea potenzialmente interessante. Ma la struttura che lo ospita è vecchia, fatiscente, inadatta. I detenuti malati che ci vengono allocati affrontano quotidianamente lo stesso problema: mancanza di acqua calda nelle camere. Camere troppo piccole, non idonee per chi è disabile o ha difficoltà di movimento. Infissi che non reggono agli agenti atmosferici. Docce comuni a orari prestabiliti, senza passerelle per disabili. Un solo lavandino interno per tutte le necessità. E il regime detentivo prevede celle chiuse, senza la possibilità di apertura che esiste in altre sezioni: questi malati trascorrono la maggior parte delle giornate rinchiusi, con come unica alternativa le ore d'aria che, per le loro condizioni di salute, spesso devono declinare.
Eppure la direzione sanitaria, stando alla denuncia, avrebbe ripetutamente certificato la compatibilità della detenzione inframuraria per pazienti che avrebbero dovuto stare in ospedale. Malati con problemi cardiaci, oncologici, obesi in modo critico, paraplegici, disabili gravi: la direzione avrebbe assunto la responsabilità della loro gestione interna,
nonostante il centro clinico del carcere manchi degli strumenti e delle strutture necessarie. Il risultato è scontato: l'aggravamento delle loro patologie.
SEI MORTI IN SEI MESI
Tra luglio 2024 e gennaio 2025, dentro le mura della “Ugo Caridi” sei uomini hanno smesso di respirare. Ufficialmente, tutti per lo stesso motivo: arresto cardiaco. I loro nomi sono stati registrati con questa causa, come se fosse sufficiente una diagnosi generica a spiegare tutto. Antonino Pugliese aveva circa 45 anni quando è morto. Aveva una famiglia che lo aspettava fuori: sono loro ad aver capito che qualcosa non tornava, che non bastava scrivere “arresto cardiaco” su un modulo. Hanno presentato denuncia. Le indagini sono ancora in corso. Fatmir Dulla ne aveva circa 57. Era di origine albanese. Mancavano pochi giorni alla sua scarcerazione, pochi giorni prima di tornare a casa. Se ne è andato dentro.
Ivan Claudio Covelli aveva 42 anni e fino a pochi giorni prima lavorava fuori dal carcere. Era un detenuto che dimostrava di stare meglio, che poteva integrarsi in attività esterne. Poi è tornato. E non è più uscito. Damiano Ferraggine aveva 37 anni. È morto lo stesso giorno del suo ingresso. Il primo giorno. Nessuno ha avuto il tempo di conoscerlo veramente. Ivan Domenico Lauria era il più giovane: 28 anni soltanto. È deceduto in cella d'isolamento, lontano dagli altri. Sua madre è arrivata al punto di presentare denuncia, perché i punti chiari sulla sua morte erano pochi, troppo pochi. E poi Angelo Pino di circa 47 anni.
Sei vite, sei fascicoli etichettati con la stessa causa. Sei certificati di morte redatti in sei mesi. I detenuti che hanno firmato la denuncia non dicono che l'arresto cardiaco non esista, che sia impossibile morire così in carcere. Dicono una cosa più semplice e più terribile: come è possibile che sei persone comunque giovani muoiano tutte nello stesso modo, nello stesso periodo, in circostanze che rimangono oscure? È stata data loro l'assistenza preventiva che avrebbe potuto evitare il peggio? Quando il malore si è presentato, qualcuno è corso in loro aiuto subito, o c'è stato un ritardo di ore, lo stesso ritardo di sempre? Nessuno è venuto a rispondere a queste domande, denunciano i detenuti.
LA BUROCRAZIA CHE UCCIDE
Dal 2025, i responsabili sanitari non risponderebbero alle richieste di certificati telematici per le pensioni, di documentazione per il rinnovo della patente, di relazioni sanitarie richieste dall'autorità giudiziaria. Le email indirizzate agli avvocati rimangono senza risposta. I colloqui orali, si legge sempre nella denuncia, sono praticamente impossibili: nonostante innumerevoli richieste formali negli ultimi due anni e mezzo, i detenuti non riescono a ottenere nemmeno un incontro per esporre i propri problemi. Quando i sorveglianti penitenziari vengono interrogati sulla reperibilità della direzione, la risposta è sempre la stessa: “Non c'è mai”, “Non effettua colloqui”, “Vi chiamerà a breve”.
I detenuti della “Ugo Caridi” chiedono le dimissioni dei responsabili. Chiedono un accertamento sulla gestione della competente area sanitaria. Chiedono un intervento urgente dalle autorità competenti per garantire loro i diritti costituzionali e internazionali, quelli sanciti dall'articolo 3, 27 e 32 della Costituzione e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. La lettera è sottoscritta all'unanimità. Non è una protesta di una frazione, non è il grido di chi vuole evitare la responsabilità dei propri reati. È il segnale d'allarme dei detenuti che, pur privati della libertà, chiedono semplicemente quella dignità umana che nessuno dovrebbe perdere, nemmeno dentro un carcere.


