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La calura estiva e la stasi ferragostana non hanno arrestato le solite “parole in libertà” di chi forse, nel visitare un penitenziario, si sarà soffermato nelle stanze ben tenute degli amministrativi, per qualche foto di rito, con dietro le bandiere istituzionali che, per il degrado delle nostre carceri, meriterebbero di essere perennemente poste a mezz’asta.
Probabilmente non sarà mai entrato nelle celle ammuffite, con le latrine a vista, nelle sezioni stracariche oltre ogni limite, nelle salette testimoni di una degradata socialità. Non avrà mai gettato lo sguardo oltre lo spioncino di un blindo, chiuso a doppia mandata, per osservare i volti rassegnati dei detenuti costretti, per mancanza di spazi, a condividere la cella con un loro compagno affetto dalla scabbia.
Proprio in questi giorni abbiamo letto le interviste al ministro Nordio, al segretario dell’Anm Maruotti e al Procuratore di Napoli, Nicola Gratteri. Ognuno di questi – meritevoli di considerazione per il ruolo svolto e la funzione espressa – pronto a puntare il dito contro gli altri protagonisti delle politiche e della gestione dei flussi carcerari. Mai, però, a ricordare la propria responsabilità su una emergenza carceraria oramai atavica. Mai ad una rigorosa autocritica sulla propria condotta, ovviamente non come singolo, ma in quanto espressione di una categoria, quella dell’esecutivo, della magistratura giudicante e di sorveglianza, della magistratura requirente, che contribuiscono, pro quota, al mantenimento di una condizione disonorevole per la Repubblica italiana.
Il ministro Nordio, supportato dallo smarrito Garante per i detenuti, giura, contro la logica e la statistica, che il fenomeno dei suicidi non solo sia slegato dal grave sovraffollamento, ma addirittura che l’essere stipati in 8, 10 o 12 in celle che, al massimo, ne possono ospitare 6, giochi un ruolo di deterrenza sui suicidi in quanto i “molti” compagni di cella “ esercitano una sorta di controllo” e che il “ sovraffollamento porta all’esasperazione più che alla disperazione, e quindi alla rivolta violenta piuttosto che all’autolesionismo”.
Il segretario dell’Anm, Rocco Maruotti, nega, pro domo sua, l’incidenza dell’abuso della custodia cautelare sulle condizioni di sovraffollamento, arzigogolando su comparazioni europee delle misure emesse e sulla “ costante riduzione” dell’uso della “carcerazione preventiva” ( così definita senza ipocrisie), da parte dei magistrati, che ha consentito “di contenere l’aumento a dismisura della popolazione carceraria”.
Il Procuratore di Napoli, Gratteri, sempre più proiettato verso ruoli in politica, nelle pause del lungo tour estivo nelle piazze calabresi, ci propina la solita ricetta dei suicidi e del “ malessere che serpeggia tra i detenuti e gli agenti di polizia penitenziaria” determinati dallo strapotere dei mafiosi e della necessità di miracolose e immediate nuove carceri da 5.000 posti ciascuno. Per Gratteri i suicidi sono il prodotto di una serie di costrizioni e intimidazioni subite dai detenuti deboli ad opera dei “boss”, mentre l’indulto è del tutto inutile.
“Parole in libertà” senza rispetto dei dati statistici. Senza leggere i report, le segnalazioni che diverse associazioni – fra queste le Cameri penali, impegnate nell’iniziativa dell’Osservatorio carcere, “Ristretti in Agosto” – offrono alla politica in vacanza e ad un’opinione pubblica distratta. E così il Ministro ignora l’irresponsabilità del “non fare” o, peggio, del “fare male” come con la “deforma” della liberazione anticipata della scorsa estate e che il 90% dei suicidi circa avvenga in istituti sovraffollati.
L’Anm ignora l’incidenza delle misure cautelari, al pari delle limitate misure alternative, sul sovraffollamento e che la tanto sbandierata regressione della carcerazione preventiva degli ultimi anni non emerge affatto.
Basterebbero le relazioni al Parlamento per scoprire che dal 2020 le misure cautelari in carcere hanno subito un progressivo aumento ( 24.928 nell’anno 2020 - 27.261 nell’anno 2024). Così come il sovraffollamento, in costante crescita (+ 10.499 detenuti dal 2020 al 2025), si alimenta anche grazie a circa 11.972 detenuti in più che ogni anno entrano in carcere, ma non ci escono. Quanto allo strapotere dei boss, si omette di considerare che il fenomeno suicidario e i decessi per cause diverse o da accertare avvengono, senza distinzione, in tutti i circuiti. Nella prima metà del 2025, il 4,35% dei suicidi ha riguardato detenuti in Alta Sicurezza, benché il loro numero sia poco più di 9.000.
Inoltre, per come affermato in tutte le relazioni ministeriali e nelle statistiche Dap, ogni interazione tra i diversi circuiti è inesistente. Il 100% dei detenuti AS, compresi quelli al 41 bis, infatti vivono in sezioni “chiuse”, senza contatti con quelli di Media.
D’altro canto, la storiella delle carceri in mano ai boss è priva di fondamento scientifico. Anche in occasione delle rivolte del marzo 2020, in cui hanno trovato la morte in circostanze ancora oscure almeno 13 detenuti. Anche allora i soliti magistrati in tv avevano affermato che dietro quelle rivolte ci fosse la regia delle mafie, tesi, però, clamorosamente smentita dalla Commissione di indagine voluta dall’allora ministro Cartabia e presieduta dall’ex Pg di Caltanissetta, Sergio Lari.
Che importa, siamo in agosto e le parole in libertà svolazzano allegre tra le spiagge e le montagne, mentre in carcere, tra l’indifferenza e l’abbandono, si continua a morire.