«È stata una sgrammaticatura istituzionale, ma l’ha risolta lui». La presidente del Consiglio Giorgia Meloni prova a chiudere così l’incidente provocato dal presidente del Senato e collega di partito, Ignazio La Russa.

La seconda carica dello Stato aveva infatti sollevato un polverone con le sue parole sull’azione partigiana avvenuta nel marzo del 1944 in via Rasella: «Quelli che i partigiani hanno ucciso non erano biechi nazisti delle SS ma una banda musicale di semi-pensionati», aveva dichiarato La Russa, causando un mezzo terremoto politico.

Il presidente del Senato «ha anche chiesto scusa», commenta Meloni, provando a mettere fine alle polemiche. Polemiche che prima di investire La Russa avevano travolto anche la premier, convinta che i martiri delle Fosse Ardeatine fossero stati «massacrati perché erano italiani» e non in quanto antifascisti.

La questione però sembra tutt’altro che chiusa con l’Anpi e le opposizioni sul piede di guerra. Intanto sono già 30mila le firme raggiunte dalla petizione lanciata da Rifondazione comunista per chiedere le dimissioni del presidente del Senato. Tra i firmatari, anche lo storico Alessandro Barbero. «Le sue esternazioni sulla Resistenza, in particolare sull’atto di via Rasella, non sono riconducibili ad opinioni - ha spiegato il segretario di Rc Maurizio Acerbo - Non sono nemmeno uno dei purtroppo assai diffusi momenti di revisionismo storico. Sono un falso storico, la negazione di atti giudiziari, una offesa alla Resistenza e un inquinamento delle responsabilità storiche del fascismo e del nazismo».