Mica solo la violenza di genere. Da sempre lo spirito del tempo confina le libertà femminili dentro il codice penale. Tra qualche retaggio antico e proclamati passi in avanti.

Lo vediamo anche adesso, con l’ultimo bailamme politico sul corpo delle donne, che ha una sua data di inizio. È il 7 marzo 2025, il giorno che precede la Giornata internazionale della donna. Per l’occasione il governo Meloni ha confezionato il cadeau normativo perfetto: il ddl che introduce il delitto di femminicidio come reato autonomo.

Oggi quel provvedimento è legge, con il sì definitivo e unanime dei due rami del Parlamento. Gli stessi che ieri, nel giorno delle celebrazioni per il 25 novembre, si sono cimentati in una corsa sfrenata e simultanea per l’affermazione di maggiori tutele per le donne vittime di violenza.

Il risultato? Una baraonda condita di scarpe e lustrini rossi che consegna alle donne una clava penale di cui non sapranno che farsene, quando scopriranno che la prospettiva dell’ergastolo, a cui punta il reato di femminicidio, non basterà a salvare loro la vita.

L’altra promessa, quella che la politica tutta contava di sbandierare per l’occasione, giace per ora sul campo di battaglia: alla fine il Senato ha “tradito” il patto siglato alla Camera sulla legge che riforma il reato di stupro. Che pure ha i suoi problemi, perché la si poteva scrivere meglio, salvando in un colpo il processo penale e il principio del consenso su cui l’Italia è ritardo.

I giuristi lo ripetono da giorni, e adesso lo dice pure il centrodestra, Lega in testa, che ha servito il colpo gobbo dopo la festa bipartisan celebrata a Montecitorio. Bisogna solo rifletterci ancora un po’, assicura la maggioranza, per evitare che il reato, così scritto, si trasformi in un’arma per «vendicarsi». Il copyright è di Matteo Salvini, che entra nel dibattito con il suo solito passo felpato. Mentre dalle parti di via Arenula e della commissione Giustizia di Palazzo Madama si rilancia il rischio che la fattispecie di violenza sessuale, così formulata, produca una sorta di inversione dell’onere probatorio.

«Non puoi affidarti all’emotività di una elaborazione atecnica, devi valutare virgola per virgola, per evitare un domani delle interpretazioni eccentriche», dice Carlo Nordio. E di sicuro separare il diritto penale dalla propaganda non fa mai male. Ma a qualcuno, ci domandiamo, sarà venuto in mente di leggere il testo di legge prima di portarlo in palmo di mano, evitando così di affossarlo? Temiamo di no.

E scoprire il motivo di un simile passo indietro è lavoro da retroscenisti, che sanno sempre scovare il calcolo politico ammantato di dubbio giuridico. Mentre a noi qui interessa porci un’altra domanda: a chi serviva incassare due leggi in un giorno per celebrare le donne? Non alle donne. Che se glielo chiedete, vi diranno che il 25 novembre preferirebbero scolarsi uno spritz al parco, ben lontane dalle panchine rosse e le chiacchiere trite e ritrite che la ricorrenza ci impone.

Ma ciò che le donne vogliono, si sa, non importa quasi a nessuno. Nemmeno a quelli che si battono nel loro nome, per far risplendere il proprio. Perché resta ghiotta, da sempre, l’occasione di cucire un po’ di politica sul corpo delle donne: nel peggiore dei casi, se non funziona, si può ancora brandire il nobile intento. Anche se il guaio, con le leggi, è che non vale ciò che si dice per i regali: non basta il pensiero.