Il disastro elettorale in Toscana ha fatto saltare il tappo. Dentro la Lega il malumore covava da settimane, ma il crollo sotto il 4,5 per cento ha trasformato la delusione in aperta ostilità alla dirigenza. La sconfitta, così come è maturata, è diventata il detonatore di un malessere profondo: quello di settori non trascurabili del partito che non si riconoscono più nella linea imposta da Matteo Salvini e, soprattutto, nello spazio politico concesso al generale Roberto Vannacci.

Fino alla vigilia del voto la dirigenza toscana, a partire da Susanna Ceccardi, aveva faticato a contenere le crepe. Ora, dopo la disfatta, le tensioni rischiano di esplodere. E in molti territori si parla apertamente di “processo a Salvini”, un’ipotesi inedita nella storia recente del Carroccio. I leghisti del Nord, già in fibrillazione per la “cessione” della Lombardia a Fratelli d’Italia e per il veto sul progetto di una lista con il nome di Luca Zaia in Veneto, guardano alla débâcle toscana come al segno di un linea politica che sta mostrando la corda.

Le analisi circolate nelle ultime ore sono impietose: il voto è stato letto come la prova che la scommessa su Vannacci ha indebolito il partito invece di rilanciarlo, spaccando la base storica e confondendo quella parte di elettorato moderato che ancora considerava il Carroccio come un’ipotesi plausibile.

Secondo alcuni dirigenti interni, il generale ha oscurato la Lega e disperso l’identità del movimento, mentre altri parlano di un partito ridotto a sigla personale, incapace di tenere insieme i suoi mondi e ormai prigioniero del messaggio estremista che Salvini ha scelto di cavalcare. Lo stesso Vannacci, tuttavia, non arretra. «Chi pensa che io mi fermi, non mi conosce», ha detto in un video sui social. «Questi sono i risultati che mi fanno andare avanti più determinato. Noi non perdiamo mai: o vinciamo, o impariamo».

Parole che suonano come un manifesto personale più che come una dichiarazione di appartenenza. E che alimentano il sospetto, in casa leghista, che il progetto “patriottico” del generale stia diventando un corpo estraneo rispetto all’identità originaria del partito. Le tensioni non si limitano alla Toscana. In Lombardia si rincorrono le voci di una riunione dei segretari provinciali per chiedere un chiarimento a Salvini mentre nel Veneto di Zaia serpeggia l’idea di una fronda organizzata se Roma dovesse continuare a ignorare le istanze autonomiste.

Una sommatoria di insofferenze che rischia di trasformarsi in un processo politico anche se da via Bellerio la linea ufficiale resta quella della minimizzazione. Sempre Vannacci, intervistato dopo il voto, ha provato a gettare acqua sul fuoco: «La Lega in Toscana scende rispetto alle Europee, ma per noi questo rappresenta un punto di partenza. Continuiamo fedeli ai nostri principi e ai nostri ideali». Ma nelle sezioni del Centro- Nord, più che di ideali, si parla di numeri: e i numeri non mentono.

Anche dentro la coalizione il segnale è stato chiaro: i meloniani stuzzicano il Capitano, come ha fatto ieri Giovanni Donzelli in diretta tv, affermando che quando Salvini seguiva in prima persona le campagne in Toscana, la Lega otteneva risultati ben diversi da quelli ottenuti lunedì. Oggi il partito appare in ritirata, mentre Fratelli d’Italia cresce e consolida la propria leadership anche in territori considerati fino a poco tempo fa impermeabili alla destra di governo. La premier Giorgia Meloni, pur senza infierire, può permettersi di sorridere: anche quando perde, le urne le restituiscono segnali confortanti e rafforzano la sua posizione di guida della coalizione.

A rendere ancora più evidente il calo di peso del Carroccio ci ha pensato la Calabria, dove pochi giorni fa il successo di Forza Italia ha incoronato Antonio Tajani come l’altro vincitore del momento. «Non vedo contrasti con la Lega», ha detto il vicepremier, «ma sulla manovra la priorità per noi resta la sanità e il sostegno al ceto medio».

Parole che suonano come un avvertimento garbato a Salvini, il cui margine negoziale nella Legge di Bilancio si riduce proprio mentre la base rumoreggia. Il rischio, per il segretario del Carroccio, è quello di trovarsi stretto tra un Vannacci sempre più autonomo, un Nord insofferente e una Meloni che consolida la propria leadership. In molti ricordano che l’ultima volta che la Lega era scesa sotto il 5 per cento, Umberto Bossi aprì una crisi interna che cambiò la storia del partito. Stavolta lo scenario è diverso, ma la parola “processo” non è più un tabù. Per ora Salvini tace. Ma nelle prossime settimane, tra riunioni riservate e richieste di congresso, potrebbe arriva- re la controffensiva. Perché la Toscana non è solo una sconfitta regionale: è il simbolo di una frattura che attraversa l’intero Carroccio e che potrebbe avviare un processo serio di riflessione sul futuro della Lega e del suo leader.