Sono arresti non eccellenti ma eccellentissimi e, se le accuse fossero confermate, il colpo per la Commissione europea, cioè per l'Unione, sarebbe durissimo. Fra le tre persone fermate o arrestate su mandato della Procura europea per «frode nell'assegnazione di appalti pubblici, corruzione, conflitto di interessi e violazione del segreto professionale» due sono italiane: Federica Mogherini, oggi rettrice del Collegio d'Europa ma in passato Alta commissaria per la politica estera, e il diplomatico Stefano Sannino, già ambasciatore italiano in Spagna, oggi Segretario generale del Servizio europeo per l'azione esterna.

Il fermo è scattato dopo che all'alba la polizia belga aveva fatto irruzione degli uffici del Seae e del Collegio per perquisirli. Prima delle perquisizioni, la Procura aveva chiesto e ottenuto la revoca dell'immunità per diversi sospettati.

L'indagine riguarda una presunta frode che si sarebbe verificata nel biennio 2020-2021 a proposito dell'assegnazione al Collegio d'Europa, da parte dell'apparato diplomatico dell'Unione, di un programma di formazione per i futuri diplomatici europei. Secondo la Procura la procedura sarebbe stata viziata da favoritismo e forse anche da concorrenza sleale. Un secondo filone dell'indagine riguarda l'acquisto per 3,2 milioni di euro di un edificio a Bruges destinato ai diplomatici europei in formazione. L'acquisto sarebbe stato effettuato poco prima dell'assegnazione di un bando al Collegio, il che secondo la procura desta il sospetto di un flusso di informazioni improprio.

La Procura stessa è un organo indipendente dell'Unione europea, istituito nel 2021 con il compito di vigilare proprio sulle frodi ai danni della Ue o su casi di sospetta corruzione. Sinora non aveva però mai preso iniziative eclatanti. Questa lo è. Il ruolo eminente dei due personaggi italiani coinvolti solleva infatti dubbi e sospetti sulla trasparenza delle strutture dell'Unione stessa. La Commissione si è infatti subito trincerata nel silenzio: «Non commentiamo con un'indagine giudiziaria in corso», ha tagliato cortissimo la portavoce Paula Pinho.

Chi a non commentare non ci pensa per niente è l'Ungheria. «Un altro giorno, un altro scandalo shock della Ue. La prestigiosa 'scuola di perfezionamento' dell'Ue per i burocrati eurocrati ora sotto indagine per accesso privilegiato ai bandi di gara? Non si può inventare una cosa del genere», scrive su X il portavoce del governo ungherese Zoltan Kovacs. È solo l'antipasto. Poi il portavoce di Orban affonda la lama fino all'impugnatura: «Divertente come Bruxelles tenga lezioni a tutti sul ‘rispetto dello stato di diritto’, mentre le sue stesse istituzioni sembrano più una serie poliziesca che un'unione funzionante».

Identici toni, quasi le stesse parole, arrivano da Mosca: «La Ue fa costantemente la predica agli altri ma ignora i suoi problemi di corruzione. Milioni di euro finiscono attraverso i canali della corruzione a Kiev e questa va avanti da anni, sotto gli occhi di tutti». Le accuse, va da sé, non sono una condanna. Ma se l'indagine si rivelerà fondata si tratterà di un missile a molteplici stadi. Prima di tutto innesca per la prima volta un conflitto interno all'Unione, quello tra magistratura e politica che campeggia già non solo in Italia ma in molti Paesi europei. Si è sempre rivelato dirompente e non è affatto detto che l'Europa sfugga alla regola.

In secondo luogo può essere la miccia di uno scontro politico al calor bianco tra destra e sinistra all'interno delle istituzioni europee. Gli arrestati italiani sono di marcata area centrosinistra. Mogherini, responsabile Esteri del Pd, era poi stata nominata ministra degli Esteri da Matteo Renzi che era poi riuscito a farla nominare Lady Pesc, responsabile della politica estera della Commissione europea. Ma soprattutto le ombre della corruzione a Bruxelles impattano sul quadro dei rapporti con l'Ucraina, già flagellati dagli scandali a Kiev.

Non è affatto sorprendente che Orban e Mosca non abbiano perso un secondo per passare all'attacco. La stessa reazione della destra europea, che evita di puntare il dito contro il Pse e il suo braccio, deriva almeno in parte dalla necessità di salvaguardare l'appoggio a Kiev evitando di gridare allo scandalo a voce troppo alta. «Io sono sempre garantista», si limita a commentare il ministro degli Esteri italiano Tajani. Ma se l'indagine non si rivelerà presto un buco nell'acqua il garantismo e i calcoli geopolitici non basteranno a quietare le acque.