«Noi non facciamo politica, sarebbe controproducente per l’immagine della magistratura. Se facessimo politica io non sarei qui». Le parole pronunciate ieri dal presidente dell’Anm Cesare Parodi dimostrano, se mai ce ne fosse bisogno, quanto la magistratura senta la necessità di non immischiarsi nell’arena politica sul tema del referendum sulla giustizia, pur evidenziando le criticità di una riforma che «non è la soluzione giusta» perché «non va incontro agli interessi».

La strategia di Parodi sembra chiara: buttare acqua sul fuoco (facendo attenzione a non farlo spegnere), proprio nel momento in cui l’altro grande attore protagonista del no al referendum, cioè il centrosinistra di Elly Schlein, Giuseppe Conte e il duo Fratoianni&Bonelli preme di più sull’acceleratore sottolineando tutti gli aspetti a loro detta più disastrosi del testo, sovente evocando il rischio di tenuta democratica del Paese in caso di vittoria dei sì.

È forse proprio per questo, per evitare cioè uno scontro tra istituzioni quali sono magistratura e potere esecutivo, che Parodi ieri ha evocato prudenza, dopo che già qualche giorno il presidente del Comitato del No Enrico Grosso aveva detto di ritenere «che ciascuno debba svolgere il suo ruolo e la politica svolgerà la sua campagna referendaria con i temi che la politica riterrà di adottare, ciascuno sulla base delle sue sensibilità».

Ma Parodi ieri è andato oltre. «Noi siamo, noi vogliamo essere concretamente indipendenti- ha spiegato - Noi parliamo strettamente di giustizia, ne parliamo per informare i cittadini. Io non dico neanche ai cittadini votate no, io dico ai cittadini informatevi». La volontà di prendere le distanze dalla politica, e in particolare dalla segretaria dem Elly Schlein, sembrano evidenti, ancor più se tale necessità comincia a intravedersi anche nello stesso Pd, dove già diversi esponenti della minoranza riformista hanno chiesto ai vertici del Nazareno di fare campagna «appiattendosi» sull’Anm ma di focalizzarsi sulle questioni politiche in senso stretto legate alla riforma. La deputata Lia Quartapelle, ad esempio, pensa «che il Pd non debba seguire la linea esposta dal senatore M5S Roberto Scarpinato», posizione certamente condivisa da chi, come il senatore Filippo Sensi, proprio durante l’intervento dell’esponente M5S in dichiarazione di voto faceva smorfie che poco lasciavano all’immaginazione. «Dobbiamo stabilire come fare campagna per il no», ha puntualizzato la senatrice Simona Malpezzi lasciando intendere che quel che la minoranza chiede è una direzione ad hoc per definire la strategia comunicativa peri prossimi mesi, che evidentemente, ragiona un’esponente riformista, «non può essere relegata allo slogan “no ai pieni poteri”».

Ritornello utilizzato dal Pd nella conferenza stampa convocata in fretta e furia al termine della seduta in cui la riforma è stata approvata e nella quale Schlein ha evocato scenari da regime, ribadendo, a precisa domanda del Dubbio, che «in Italia è a rischio la tenuta democratica».

Un concetto che sembra travalicare anche l’ipotesi di un conflitto tra istituzioni, magistratura e potere esecutivo appunto, tema che evidentemente non preoccupa più di tanto ai piani alti del Nazareno. Va detto che la segretaria dem, nella stessa conferenza stampa, ha rifiutato l’idea di quello che è stato definito «l’abbraccio mortale» con l’Anm, spiegando che il sindacato delle toghe «ha già avviato un comitato per il “no” per la sua campagna referendaria» mentre il Pd farà «un’altra campagna referendaria per il “no” con i nostri solidi argomenti».

Insomma lo spettro del rischio di uno scontro istituzionale che nessuno, in primis il Colle, vorrebbe, comincia ad aleggiare anche tra i dem, i quali considerando anche i valori fondativi dello stesso Pd e la nomea di partito “istituzionale” per eccellenza non possono di certo concedersi il lusso di portare i magistrati a fare la guerra al governo. Quali che siano i desiderata di chi, in questo momento, del Pd è ai vertici.