È Enrico Grosso, classe 1966, ordinario di diritto costituzionale a Torino e avvocato il neo-presidente onorario del comitato a difesa della Costituzione per il No al referendum sulla giustizia, promosso dall'Anm. Allievo di Gustavo Zagrebelsky, per il professore il diritto è una questione di famiglia: suo padre, Carlo Federico Grosso, scomparso nel 2019, è stato un noto avvocato penalista impegnato in processi come quello relativo alla strage di Bologna, a quella del Rapido 904, per il crack Parmalat e per il delitto di Cogne, e pure vice presidente del Csm. Il nonno, Giuseppe Grosso, è stato a sua volta un grande giurista, esperto di storia del diritto romano.

Grosso è stato presentato ufficialmente durante una conferenza stampa nella sede dell’Anm in Cassazione. Ad introdurlo Antonio Diella, magistrato e presidente del Comitato. Si è fatta notare in sala la presenza di Rocco Maruotti e Ciccio Zaccaro, figure apicali di AreaDg e Stefano Celli di Magistratura Democratica e l’assenza di esponenti di Magistratura Indipendente. Grosso è stato scelto non solo per la sua contrarietà netta alla riforma della separazione delle carriere - «specchio per le allodole» visto che il vero obiettivo è il Csm che «viene duplicato e depotenziato, sorteggiato nella componente togata e gli viene sottratta la funzione disciplinare per realizzare il disegno complessivo di indebolire il principio di autonomia e indipendenza della magistratura dagli altri poteri dello Stato» ha dichiarato - ma soprattutto perché è un avvocato, pronto a portare dalla parte dei ‘NO’ i suoi colleghi ancora incerti.

Rifiuta di portare avanti una campagna per slogan e quando gli chiediamo cosa pensa del Pd che ha parlato di «attacco alla Costituzione» e di «no ai pieni poteri» al Governo, Grosso prende le distanze: «noi riteniamo che ciascuno debba svolgere il suo ruolo e la politica svolgerà la sua campagna referendaria con i temi che la politica riterrà di adottare, ciascuno sulla base delle sue sensibilità».

Sembra di risentire Schlein che due giorni fa a nostra domanda aveva risposto: «l'Anm ha già avviato un comitato per il 'no' per la sua campagna referendaria. Noi faremo un'altra campagna referendaria per il 'no' con i nostri solidi argomenti». Due strade diverse che però puntano allo stesso obiettivo, scongiurando però tatticamente quell’ «abbraccio mortale» tra magistratura e opposizione di cui aveva parlato Nordio. Grosso poi ha replicato anche ad Antonio Di Pietro schierato sul fronte del Sì: «La parola "corrente" viene utilizzata come un corpo contundente da scagliare contro i magistrati, i quali hanno il diritto di avere articolazioni che non solo sono normali, ma addirittura benefiche. Poi che ci siano stati, in passato, casi diversi come Palamara con l'emersione di un sistema opaco», tutto è stato «consegnato alla storia e gli stessi magistrati hanno fatto pulizia», quindi «credo che l’obiettivo polemico di Di Pietro sia in ritardo».

Abbiamo chiesto invece a Diella se il Comitato è pronto ad accogliere il suggerimento della presidente di Md Silvia Albano di raccogliere le 500 mila firme per richiedere il referendum: «Ci stiamo interrogando su questa possibilità. Non possiamo farlo semplicemente per vedere chi raccoglie più firme». Poco prima dai microfoni di Sky Tg24 lo stesso Maruotti si era detto disponibile ad un confronto sulla rete all news con il Guardasigilli.

Sempre sullo stesso canale è intervenuto il presidente dell’Unione Camere Penali, Francesco Petrelli, per cui «le correnti sono un problema della magistratura da molto prima del caso Palamara, tanto che sono state tentate almeno 8 riforme del metodo elettorale del Csm, ma senza alcun successo. L'equivoco - ha argomentato - nasce dal fatto che si ritiene che il Csm sia un organo rappresentativo, quasi un piccolo Parlamento in cui i partiti della magistratura si confrontano, come fosse una Terza Camera. Non è così che lo avevano immaginato i padri costituenti, che pensavano piuttosto ad un organo di garanzia».

Intanto i partiti si muovono per il referendum. A Rai Radio1, ospite di Un giorno da pecora, il capogruppo di Fratelli d'Italia in Senato Lucio Malan ha annunciato: «Alla prima seduta utile del Senato, martedì prossimo, verrà annunciata la possibilità di apporre la firma e di conseguenza subito apporremo le nostre firme per chiedere il referendum». Mentre alla Camera il deputato di Forza Italia, Enrico Costa, ha già firmato. Pure i gruppi parlamentari di Pd, M5S e Avs hanno inviato due lettere, identiche nel testo, al segretario generale della Camera ea quello del Senato per avviare la raccolta firme.

Nella stessa giornata, nel corso della trasmissione l'Aria che Tira condotta da David Parenzo su La7, è stato reso noto un sondaggio realizzato da IZI, azienda di analisi e valutazioni economiche e politiche, secondo il quale rispetto alla riforma dell’ordinamento giudiziario «la stragrande maggioranza degli elettori, il 57,8%, ammette di non sapere di cosa si tratta, mentre il 70,9% degli elettori, tra coloro che sono più informati, sono favorevoli alla legge ed il 21,9% contrari». Nel frattempo il Partito Radicale ha costituito il «Comitato Pannella-Sciascia-Tortora per il sì alla separazione delle carriere»: il presidente è il professore emerito di procedura penale Giorgio Spangher. Nato anche il comitato di Noi Moderati per il «SÌ alla riforma costituzionale della giustizia». Ad annunciarne la costituzione il presidente del partito, Maurizio Lupi, e il Responsabile del Dipartimento Giustizia, Gaetano Scalise.