La stagione dei vitalizi europei intoccabili subisce un colpo definitivo. La Corte di giustizia dell'Unione europea ha respinto i ricorsi presentati da 405 ex deputati al Parlamento europeo – o dai loro aventi diritto – contro il dimezzamento del vitalizio integrativo deciso nel 2023 dall’Ufficio di presidenza del Parlamento europeo.

La decisione mette fine a una lunga battaglia giudiziaria nata dopo il taglio del cosiddetto regime di vitalizio integrativo volontario (RVIV), un fondo pensione istituito nel 1990 per compensare le forti disparità tra i sistemi previdenziali nazionali dei vari Stati membri. Un regime facoltativo, finanziato con contributi dei parlamentari, pensato per garantire una pensione integrativa a vita.

Con l’entrata in vigore, il 14 luglio 2009, dello statuto unico dei deputati europei, l’Unione ha introdotto un sistema pensionistico uniforme. Le norme transitorie hanno mantenuto in vita il RVIV solo per gli iscritti, senza consentire nuove adesioni. Negli anni, però, il fondo ha subito un progressivo deterioramento finanziario, che ha portato a diverse modifiche regolamentari, fino alla decisione del 2023 di ridurre del 50% gli importi e di sopprimere l’adeguamento automatico.

Tra i ricorrenti figurava anche Enrique Barón Crespo, insieme ad altri ex parlamentari, convinti che il taglio violasse i diritti acquisiti e le garanzie previste dalle misure transitorie del 2009. Il Tribunale dell’Unione europea ha però respinto integralmente i ricorsi, chiarendo un punto centrale: i diritti a pensione non coincidono con il diritto a un importo immutabile.

Secondo i giudici, l’obiettivo delle misure transitorie era definire chi potesse rientrare nel regime, non congelare per sempre le condizioni economiche del vitalizio. Il principio della tutela dei diritti acquisiti, spiega la Corte, non impedisce modifiche future, anche se queste comportano una riduzione dell’importo percepito.

Un passaggio chiave riguarda il legittimo affidamento. Né lo statuto né le sue misure di attuazione prevedevano il diritto a mantenere un determinato livello pensionistico. La prassi seguita dal Parlamento prima del 2023, aggiunge la sentenza, non poteva far nascere la convinzione che i beneficiari già in pagamento sarebbero rimasti esclusi da ogni futura riforma.

Sul piano patrimoniale, il diritto riconosciuto agli ex eurodeputati consiste nel ricevere un vitalizio, non nel percepirne una cifra fissa e intangibile. I ricorrenti, sottolinea la Corte, non hanno dimostrato che il dimezzamento svuoti di contenuto il diritto alla pensione o violi l’essenza del diritto di proprietà.

A giustificare la misura del 2023 sono state infine le finalità di interesse generale: salvaguardare il Fondo nel breve periodo e limitare l’impatto del disavanzo sui contribuenti europei. Considerato che si tratta di una pensione integrativa facoltativa, la riduzione non porta gli importi a livelli «manifestamente irragionevoli», tenuto conto della durata dei mandati e dei contributi versati.