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FRANCESCO LO VOI, CAPO PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
Sei astensioni, nessun voto contrario: si è chiuso così stamattina il dibattito sulla pratica chiesta dai laici di centrodestra del Csm sul procuratore di Roma Francesco Lo Voi. Secondo i promotori, il procuratore non avrebbe agito correttamente iscrivendo subito nel registro degli indagati la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano, dopo una denuncia dell’avvocato Luigi Li Gotti, per aver riconsegnato alla Libia il torturatore Almasri.
A chiedere l’apertura della pratica erano stati Isabella Bertolini, Claudia Eccher, Daniela Bianchini, Enrico Aimi e Felice Giuffrè, secondo cui, trattandosi di reati ministeriali, l’espressione costituzionale “omessa ogni indagine” non poteva tradursi in un automatismo assoluto di iscrizione. Secondo i laici, insomma, Lo Voi avrebbe avuto il potere-dovere di effettuare una valutazione nel merito prima di iscrivere, per non creare «paradossali risvolti penalizzanti». La prima commissione era però arrivata ad una conclusione diversa: non ci sarebbe però «alcun profilo di criticità suscettibile di dare adito a profili di incompatibilità ambientale e/o funzionale nell’ambito dell’ufficio dallo stesso diretto». In particolare, le determinazioni di Lo Voi rientrerebbero «fisiologicamente nell’alveo delle sue valutazioni giudiziarie, come tali incompenetrabili al sindacato consiliare che può essere svolto ai fini – ben diversi – che nella presente sede rilevano». Nessuna anomalia o abnormità, tesi suffragata, secondo la commissione, dalle decisioni del Tribunale dei Ministri, che «a fronte della richiesta di archiviazione formulata dal dottor Lo Voi per tutte le posizioni in ordine al reato di peculato, nonché per le posizioni del presidente del Consiglio dei Ministri e del ministro dell’Interno con riferimento al reato di favoreggiamento personale, gli ha invece rimesso gli atti per l’avvio della procedura di autorizzazione a procedere anche per questi titoli di reato (previa archiviazione della posizione della presidente Meloni)». Snodo processuale che azzererebbe in radice il sospetto di un «precostituito intento persecutorio».
Acceso il dibattito in plenum. Bertolini, infatti, ha criticato le tempistiche della pratica, chiesta a gennaio e arrivata in plenum solo a dicembre, ma senza, a suo dire, una vera istruttoria. «Qui non è un problema costituzionale sull’interpretazione dell’applicazione del 335 codice di procedura penale. Alla luce delle modifiche apportate dalla riforma Cartabia non esiste proprio un automatismo tra ricevimento di una notizia e iscrizione nel registro. A maggior ragione a fronte di una vicenda che non era proprio marginale, perché ha coinvolto i vertici apicali del governo di questo Paese - ha aggiunto -. Siamo di fronte a una vicenda che lascia perplessi anche per la modalità con cui si è sviluppata. C’è una vicenda mediatica importante, che esplode non solo sulla stampa nazionale ma anche su quella internazionale e nessuno in Procura di Roma muove un dito. Il procuratore Lo Voi evidentemente non legge i giornali, non guarda le televisioni, non ascolta la radio e quindi non intravede nulla in quello che è avvenuto. Ma dopo due giorni, arriva l’avvocato Li Gotti, che fa fotocopie di giornali, le deposita in procura, non aggiunge elementi ulteriori a comprova della sua tesi dove lui individua tutte delle fattispecie di reato che indica, e Lo Voi non fa nessuna valutazione di merito, si attiva e trasmette il tutto, senza nessuna valutazione, al Tribunale dei Ministri. La denuncia di Li Gotti è del 23 gennaio e Lo Voi, notificando il 27 alle persone indagate, scrive “ho già trasmesso tutto”, quindi c’è una tempestività che lascia quantomeno perplessi. Mi chiedo per quale motivo non si è potuto almeno aprire un’istruttoria e provare a chiedere al procuratore Lo Voi quale modalità di azione aveva messo in campo - ha aggiunto - perché probabilmente ci avrebbe dato delle spiegazioni che noi ancora oggi non abbiamo. Questo me lo chiedo perché a questo punto mi chiedo anche che senso ha, dopo 11 mesi, discutere questa pratica e mi chiedo che senso hanno l’immobilismo della commissione e il nostro ruolo all’interno della commissione, che non è un ruolo da inquisitori o da colpevolisti a tutti i costi, ma è un ruolo di chi vuole fare chiarezza».
A rispondere la togata di Md Mimma Miele, secondo cui «effettivamente si è aspettato troppo tempo per portare questa pratica in plenum». Pratica che «doveva essere archiviata immediatamente», perché «con questa richiesta si vuole sindacare l’esercizio della funzione giurisdizionale ricoperta dal dottor Lo Voi. Non solo siamo completamente al di fuori del perimetro dell’articolo 2 - ha evidenziato -, ma siamo al di fuori anche di un eventuale procedimento disciplinare, perché sappiamo che i magistrati non sono passibili disciplinarmente per l’interpretazione della norma, a meno che non si sia compiuto un atto del tutto abnorme». Ma non solo: Miele ha ricordato l’obbligatorietà dell’azione penale.
«Cosa si contesta al procuratore della Repubblica di Roma, di aver applicato la legge? Io resto davvero senza parole e aggiungo un’altra notazione: in prima commissione pendono due richieste di apertura di pratiche a tutela nei confronti del dottor Lo Voi, una presentata dal consigliere Andrea Mirenda, una sottoscritta da me e dal consigliere Ernesto Carbone per gli attacchi che il collega ha subito in maniera violenta da rappresentanti delle istituzioni ai massimi vertici». Pratiche che, ad ora, rimangono nel cassetto. «C’è stato sempre qualche motivo per il quale questa pratica non si è potuta trattare - ha aggiunto Miele -. Ora mancava un relatore, ora non c’era la disponibilità di altri, ora c’era una contingenza politica esterna che non consentiva l’opportunità della trattazione, perché si diceva che stava intervenendo il Tribunale dei Ministri, poi c’è stato il voto del Parlamento, quindi i tempi sono stati fisiologici e si è arrivati ad ora. Sicuramente non penso che la nostra decisione sarebbe potuta essere diversa da quella che stiamo prendendo in questo momento. Però abbiamo cercato di farlo con senso istituzionale, cercando di non creare delle tensioni che potevano essere avvertite anche all’esterno di questo organo. Penso che tutti dovremmo cercare di non strumentalizzare ogni vicenda e di portarla nel suo alveo. Il senso istituzionale è importante ed è importante che tutte le parti cerchino di fare del bene al nostro Paese, non sempre di alzare la tensione per creare una confusione che rischia soltanto di fare male a tutti quanti».


