«Un uso distorto» del «potere di qualificazione dei reati». È un’accusa pesante quella rivolta dai capigruppo di maggioranza al procuratore Francesco Lo Voi, “colpevole” di aver iscritto sul registro degli indagati la capo di gabinetto del ministero della Giustizia Giusi Bartolozzi.

A guidare l’attacco sono Galeazzo Bignami (FdI), Paolo Barelli (Forza Italia), Riccardo Molinari (Lega) e Maurizio Lupi (Noi Moderati), che hanno formalmente chiesto di sollevare un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, con una lettera di cinque pagine inviata al presidente della Giunta per le autorizzazioni della Camera, Devis Dori.

L’indagine della procura di Roma su Bartolozzi, che avrebbe reso false informazioni davanti al Tribunale dei Ministri nell’ambito dell’affaire Almasri, secondo i capigruppo, «sembra configurare una violazione delle attribuzioni costituzionalmente garantite alla Camera dei deputati». Il destino di Bartolozzi, a loro dire, avrebbe dovuto seguire quello di Nordio, che insieme al ministro Matteo Piantedosi (Interno) e al sottosegretario Alfredo Mantovano è stato “scudato” dalla Camera, che ha negato l’autorizzazione a procedere. Nella loro lettera, i capigruppo esprimono «perplessità» per le azioni di procura e Tribunale dei Ministri. Quest’ultimo, infatti, ha definito «centrale» il ruolo della capo di gabinetto nella vicenda che ha portato all’espulsione del torturatore libico.

Ed è proprio sulla base di questa affermazione che la Giunta ha chiesto chiarimenti, lo scorso 18 settembre, sia al Collegio per i reati ministeriali sia alla procura di Roma, per valutare l’eventuale sussistenza di una connessione teleologica tra il reato contestato a Bartolozzi e quelli attribuiti al ministro Nordio, tale da comportare l’attrazione della sua posizione nell’ambito di competenza della Camera dei deputati. Dalle risposte ricevute è emerso che il 1° agosto 2025 è stato il Tribunale dei Ministri a presentare denuncia nei confronti di Giusi Bartolozzi, a seguito della quale la procura ha proceduto all’iscrizione il 7 agosto.

Successivamente, è stato Lo Voi a precisare che, a suo giudizio, «nel caso in esame si è al di fuori del campo di applicazione delle disposizioni della legge costituzionale n. 1 del 1989», in quanto i reati attribuiti a Nordio e a Bartolozzi differiscono «per titolo e tempi di commissione», cosa che farebbe rientrare la posizione della capo di gabinetto nella giurisdizione ordinaria. Una «petizione di principio», la sua, secondo i capigruppo: per Lo Voi, scrivono, «il reato attribuito a Bartolozzi non può essere considerato ministeriale perché l’autorità giudiziaria lo ha qualificato come ordinario».

Ma se è vero che spetta all’autorità giudiziaria qualificare i reati, il problema, affermano, è «l’uso distorto di tale potere, vòlto – non importa se intenzionalmente o meno – a impedire l’esercizio da parte del Parlamento della prerogativa ad esso riconosciuta dall’art. 96 della Costituzione, dalla legge costituzionale n. 1 del 1989 e dalla legge n. 219/1989 attraverso la qualificazione giuridica della condotta asseritamente illecita della dottoressa Bartolozzi». Qui il primo attacco al procuratore, protagonista, a loro dire, di «un vero e proprio sviamento del potere di qualificazione dei reati», dimostrato dalla «insanabile contraddizione logica che esiste tra la valutazione della condotta della dottoressa Bartolozzi operata dal Tribunale dei Ministri e la mancata richiesta di autorizzazione a procedere nei suoi confronti in qualità di “coimputato laico”».

È stato proprio il Tribunale dei Ministri, infatti, ad assegnare un ruolo significativo a Bartolozzi «nella gestione e nella valutazione delle implicazioni istituzionali dell’arresto di Almasri», partecipando a tutti gli incontri dove sono maturate le decisioni che hanno portato alla liberazione del torturatore, diventando un «vero punto di snodo del segmento procedurale di competenza di quel ministero, essendo stata in costante contatto col ministro Nordio e – per esplicita ammissione di quest’ultimo – puntuale esecutrice delle sue direttive politiche». Da tutto ciò, secondo i capigruppo, emergerebbe «con chiarezza» una connessione tra le accuse rivolte a Bartolozzi e quelle indirizzate a Nordio, tanto più che le dichiarazioni contestate sarebbero state rese proprio in relazione ai medesimi fatti, allo scopo – nella logica del Tribunale – di evitare al ministro la contestazione di reati funzionali.

«Ne deriva che sussiste una connessione teleologica» tra i reati, affermano i firmatari, e ciò «avrebbe dovuto imporre la trasmissione degli atti alla Camera, affinché questa deliberasse sull’autorizzazione a procedere anche con riferimento alla posizione della dottoressa Bartolozzi». La scelta della procura di procedere per via ordinaria avrebbe determinato, come affermato a Montecitorio dal relatore Pietro Pittalis, «un pregiudizio concreto alle prerogative costituzionali della Camera». Da qui nasce l’esigenza – ribadiscono i capigruppo – di «ristabilire un corretto equilibrio tra le prerogative della Camera e quelle dell’autorità giudiziaria», affinché Montecitorio non sia privata della possibilità di esprimere una propria autonoma valutazione su ipotesi di reato connesse a quelle ministeriali, così come previsto dalla giurisprudenza costituzionale. Lo strumento è quello già annunciato nelle scorse settimane: un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale, «a tutela delle prerogative della Camera dei deputati lese dall’operato omissivo della magistratura procedente».