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CESARE PARODI PRESIDENTE ANM
«Temo che, nel momento in cui un uomo entra nell’ordine di idee di uccidere una donna alla quale magari è legato da una vita di affetti, sia molto difficile che l’idea di avere due o tre anni in più di pena possa essere un elemento di dissuasione. Da questo punto di vista, purtroppo, mi sentirei di escludere che l’aumento di pena, in sé, su questi reati che coinvolgono così a fondo la personalità e la vita di relazione, possa entrare in un calcolo costi- benefici». Sono queste le parole con le quali il presidente dell’Anm Cesare Parodi ha risposto alla domanda di Laura Boldrini, durante l’audizione in Commissione giustizia alla Camera sul dl Femminicidi. Una conferma, che arriva peraltro da un magistrato che a Torino, dov’è stato aggiunto, ha guidato il pool “Fasce Deboli” competente quindi su tutti i reati da “Codice Rosso”.
«Se io vado a rubare o commetto una rapina, posso fare un calcolo mi conviene oppure no - ha sottolineato -. Se io arrivo al punto di uccidere la donna che ho amato, credo che proprio questo calcolo non venga fatto». La norma - che ha introdotto una fattispecie di reato autonoma, punita con l’ergastolo - avrebbe però anche aspetti positivi, secondo il numero uno del sindacato delle toghe, come la formazione dei magistrati e della polizia giudiziaria e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, in quanto «tengono viva l’attenzione sul problema, ma che non credo che possano direttamente risolvere il problema». Insomma, «pensare che la risposta giudiziaria possa essere quella risolutiva credo che sia un po’ un’illusione - ha evidenziato -. Ci vuole una risposta sul piano culturale, sociale, anche economico di assistenza alle donne e di formazione dei giovani e solo un’azione sinergica di tutti questi elementi potrà darci, in tempi speriamo accettabili, un miglioramento effettivo. Dopodiché le leggi vanno bene, non è che siano inutili, tutto quello che sta attorno è sicuramente utile, ma pensare a una ricaduta immediata in termini numerici forse è improbabile».
Nel corso della sua audizione Parodi ha evidenziato gli aspetti positivi delle modifiche apportate alla normativa. Tra questi, la previsione di confisca obbligatoria, l’adeguamento della disciplina delle intercettazioni, senza i limiti dei 45 giorni, la previsione di possibilità di deroghe sotto il piano delle misure cautelari. Positivi, inoltre, gli ampliamenti delle distanze, i maggiori obblighi di comunicazione alle persone offese e l’idea del sequestro conservativo. La modifica più importante, però, secondo Parodi, è «l’obbligo di audizione in tutti i casi da parte del pubblico ministero, che avrebbe sicuramente messo in ginocchio l’organizzazione delle procure laddove invece la polizia giudiziaria formata da anni è sicuramente in grado di coadiuvare il pubblico ministero in questa attività. Come molto positivi, anche dal punto di vista culturale, sono le previsioni sulle modalità con le quali il Presidente assicura che le domande e le contestazioni vengano fatte con un assoluto rispetto delle persone offese e anche, direi, i minori obblighi di motivazione su determinate scelte che vengono fatte in sede di applicazione di pena».
Rimangono, secondo il presidente dell’Anm, due problemi da trattare. Il primo problema «va a incidere su quella che è la valenza ideologica di questa nuova normativa». Il riferimento è, in particolare, ai commi terzo e quarto dell’articolo che disciplina le circostanze aggravanti. Sebbene il testo riveduto appaia più concreto rispetto alla versione precedente, per Parodi la rigidità nell’applicazione di queste circostanze può limitare la capacità del giudice di adattare la pena alle specifiche circostanze di ogni caso. Le nuove disposizioni potrebbero infatti costringere il giudice a un’applicazione automatica di alcune aggravanti, senza considerare appieno le peculiarità di ogni situazione. E ciò potrebbe ridurre la flessibilità necessaria per decidere in modo equo e proporzionato, in base al disvalore effettivo del crimine commesso.
Inoltre, nonostante il tentativo di chiarire e specificare le circostanze aggravanti, c’è il rischio che queste modifiche possano infrangere il principio di eguaglianza, soprattutto se applicate in modo diverso nei confronti degli uomini e delle donne. Ad esempio, alcune delle motivazioni per l’aggravamento della pena, come il rifiuto della donna di instaurare o mantenere una relazione affettiva, potrebbero non essere sempre facili da applicare in modo equo, con il rischio di trattare in modo diverso comportamenti simili a seconda del genere della persona coinvolta. Altro problema, quello relativo all’organizzazione del sistema giudiziario, soprattutto la gestione dei collegi.
L’aumento dei collegi richiesti per alcuni reati, come gli atti persecutori, e la difficoltà di formare questi collegi in tempi brevi, rischiano di causare un collasso del sistema, con conseguenti ritardi nei processi. «Se noi avremo la possibilità di celebrare questi processi in un tempo non compatibile con i termini di fase delle misure cautelari - ha infatti evidenziato Parodi - rischieremo di fare questi processi non soltanto molto avanti nel tempo, ma con delle misure cautelari che saranno scadute con queste persone magari ancora pericolose che escono e si portano dietro il rancore, la rabbia per una carcerazione che intanto non è divenuta definitiva e quindi con un rischio concreto anche per le persone offese. Io non discuto il fatto che teoricamente un collegio possa giudicare meglio di un singolo giudice - ha aggiunto -, ma se il collegio l’abbiamo fra due, fra tre anni, avremo questi processi così importanti, così delicati, così urgenti, molto, molto tardi».