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LaPresse
È la giornata del dottor Mario Venditti. Brucia l’accusa di corruzione, e se sei un magistrato, ancora di più. «Ho la vita rovinata - dice infatti l’ex procuratore aggiunto di Pavia - non ho mai preso un euro a parte quelli del mio stipendio». Ha voluto essere presente all’udienza del riesame, al tribunale di Brescia, dove il suo legale Domenico Aiello ha presentato ricorso contro il decreto di perquisizione cui il magistrato in pensione è stato sottoposto lo scorso 26 settembre.
Gli hanno sequestrato cellulare e altre apparecchiature elettroniche. Ma non è quello, che “brucia”. È piuttosto il ritrovarsi dall’altra parte del tavolo, di fronte a una pm, Claudia Moregola, la quale ritiene che ci fossero indizi sufficienti per quella perquisizione e quei sequestri. Era tutto chiaro e ben esplicitato nel documento firmato anche dal procuratore capo di Brescia Francesco Prete.
Il punto di partenza un appunto anonimo, forse del padre di Andrea Sempio, con la scritta “Venditti gip archivia X 20.30 euro”. Nella sostanza non c’è molto di più. E sufficiente aggiungere tre zeri a quei numeri, per avere la sostanza della corruzione del magistrato, è il pensiero della procura di Brescia. E l’avvocato Aiello chiede: ma dove sono gli indizi precisi e concordanti del reato? Chi è il corruttore? E dove e quando sarebbe avvenuto l’atto? Si potrebbe anche aggiungere che il potere di archiviazione appartiene al gip e non al pm. Ma non risulta nessun giudice indagato.
Evidentemente la procura di Brescia, nel nome della necessità di separare le carriere, ha ritenuto che non uno, ma addirittura due giudici delle indagini preliminari, si siano “appiattiti” sul volere del procuratore aggiunto Venditti e abbiano per ben due volte archiviato la posizione di Sempio. Doppio rigetto nel quadro di una serie di tentativi della difesa di Alberto Stasi, che ha già fallito due tentativi di revisione e due ricorsi alla Cedu.
Ma se siamo approdati dalla procura di Pavia a quella di Brescia è proprio a causa della presenza nell’inchiesta di Mario Venditti. L’articolo 11 del codice di procedura penale impone lo spostamento ad altro distretto quando un’inchiesta riguardi un magistrato. Il problema è ora di verificare se la posizione dell’ex procuratore aggiunto di Pavia abbia o meno la capacità di attrarre a sé, cioè a Brescia, tutta l’inchiesta su Sempio.
L’avvocato Aiello ha già posto la questione, sia alla gip pavese Daniela Garlaschelli, che alle rispettive procure e procure generali di Pavia e Brescia. Una mossa che, se accolta, sarebbe utile anche a sgombrare il campo dai tanti pettegolezzi e sussurri e grida che stanno infestando tutta la zona, da Garlasco, il luogo del delitto di diciotto ani fa, a Vigevano dove furono svolte le prime indagini, fino a Pavia dove già due volte il fascicolo su Sempio è stato aperto e poi chiuso.
Fino a che l’insistenza dei difensori del condannato Alberto Stasi nel puntare il dito contro un colpevole alternativo al proprio assistito non è stata premiata. Anche se con scarsi, per non dire nulli, risultati, fino a ora. Perché quell’unico indizio sulle tracce di dna sulle unghie di Chiara compatibili con la linea maschile della famiglia Sempio era noto da anni ed era stato già smentito dalla perizia ufficiale del professor Di Stefano nel processo della condanna definitiva di Stasi. E tutto il circo mediatico che i soliti sussurri stanno costruendo sull’altra perizia, quella di Pasquale Linarello, consulente di parte della famiglia del condannato, sarebbe già smontata se tutti, magistrati e giornalisti, si prendessero la briga di ricordare.
Per esempio al fatto che il 13 gennaio 2017, durante la trasmissione Quarto Grado, l’avvocato Fabio Giarda l’aveva illustrata con dovizia di particolari. Si accusa la famiglia Sempio di esser stata informata (da chi? Dagli “amici” carabinieri o dall’ “amico” Venditti?) in anticipo di tutto ciò che accadeva in procura. Ma si sottovaluta il fatto che, ormai da almeno trent’anni, i cronisti giudiziari sono al corrente di ogni “segreto” investigativo e posseggono tutti gli atti di ogni inchiesta. Quindi, quando l’avvocato Lovati sostiene che quella perizia gli è stata data da un giornalista, perché non credergli?
È proprio lui, intanto, a uscire di scena dal set hollywoodiano di Garlasco. Proprio l’avvocato Massimo Lovati, il legale con la erre moscia che una società odontoiatrica albanese ha già ingaggiato come testimonial per due anni a pubblicizzare gli impianti ai denti, se ne va. Andrea Sempio lo ha revocato in seguito al suo abbraccio mortale con quella serpe di Fabrizio Corona che, forse in una serata psichedelica o etilica, gli ha fatto dire un bel po’ di stupidaggini che gli hanno provocato anche un paio di querele.
Ma soprattutto vengono accantonate con questa uscita, si spera, tutte le fantasie sul Santuario della Boccola e sull’omicidio di Chiara Poggi che sarebbe stato commesso da un “sicario”. Lo stesso che avrebbe condizionato e vincolato al silenzio l’”innocente” Alberto Stasi. Con questa mossa Andrea Sempio toglie di mezzo soprattutto il fastidio incongruente di essere difeso da un legale che ritiene innocente colui che è stato condannato in via definitiva
. Lo stesso cui si devono, attraverso i suoi difensori, denunce e perizie che lo stanno tenendo sul banco degli indagati, a tappe alterne, dal 2016. Perché era ovvio, fino a che l’avvocato Lovati dominava la scena di talk quotidiani, che se Stasi è innocente, la strada per la colpevolezza alternativa di Sempio è molto larga. Innocenti tutti è due è molto difficile. Meglio allora essere difesi da avvocati che non collaborino con il “nemico”.