PHOTO
I ministri della Giustizia Carlo Nordio e dell’Interno Matteo Piantedosi nell’aula della Camera dei deputati durante la discussione sull’autorizzazione a procedere in giudizio nei loro confronti in relazione al caso Almasri, Roma, Giovedì 9 Ottobre 2025 (Foto Roberto Monaldo / LaPresse) Justice minister Carlo Nordio (left) and Interior minister Matteo Piantedosi in the Chamber of deputies during the debate on the authorization to proceed to trial against them in relation to the Almasri case, Rome, Thursday, October 9, 2025 (Photo by Roberto Monaldo / LaPresse)
Come anticipato dal Dubbio la scorsa settimana, il Csm ha chiesto l’apertura di una seconda pratica a tutela del Tribunale dei Ministri dopo le bordate del governo sul caso Almasri. A far esplodere la polemica sono state le dichiarazioni del ministro della Giustizia Carlo Nordio, che, dopo il voto alla Camera che ha garantito l’immunità a lui, al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e al sottosegretario Alfredo Mantovano sul caso della liberazione del torturatore libico, ha lanciato parole pesanti sull’operato degli ex colleghi. «Lo strazio che il Tribunale dei Ministri ha fatto delle norme più elementari del diritto è tale da stupirsi che non gli siano schizzati i codici dalle mani - aveva commentato -, ammesso che li abbiano consultati».
Le parole di Nordio non sono passate inosservate e hanno scatenato la reazione del Csm, che ha sottolineato come «fermo restando il generale diritto di critica cui soggiace anche la funzione giudiziaria», le affermazioni abbiano superato «platealmente i limiti di continenza» e arrecato grave danno alla credibilità dell’ordine giudiziario. A firmare la richiesta di apertura della pratica sono stati tutti i togati di Palazzo Bachelet, tranne Magistratura indipendente, la corrente ritenuta più vicina all’esecutivo. Togati spaccati, dunque, al Csm. A firmare, invece, sono stati i laici Ernesto Carbone, Roberto Romboli e Michele Papa.
Alle parole di Nordio aveva fatto seguito la replica dell’Anm, che ha definito le dichiarazioni del ministro «scomposte» e fuori luogo. La Giunta esecutiva centrale ha infatti accusato Nordio di aver «aggressivamente» attaccato i colleghi, violando ogni principio di continua, rispetto e misura.
La nuova richiesta scalda ulteriormente, dopo la pratica a tutela chiesta dall’indipendente Andrea Mirenda, che ha riguardato le pesanti affermazioni della premier Giorgia Meloni sul caso Almasri. La pratica, approdata in Prima Commissione, ha ottenuto il voto di tutti i togati: Tullio Morello (presidente), Marco Bisogni ed Edoardo Cilenti. Astenuto il laico 5 Stelle Michele Papa, mentre ha votato contro il laico di centrodestra Enrico Aimi.
Dopo aver ricevuto la comunicazione dalla procura di Roma dell’invio della denuncia al Tribunale dei Ministri, Meloni aveva pubblicato un video sui social, in cui criticava la magistratura, dando il via alla sua campagna per la separazione delle carriere.
Mirenda ha ricostruito la serie di dichiarazioni della premier, iniziando dal 28 gennaio, quando Meloni ha attaccato il procuratore Francesco Lo Voi, definendolo «lo stesso del fallimentare processo a Matteo Salvini per sequestro di persona», insinuando motivazioni politiche dietro l’inchiesta. Meloni aveva poi dichiarato di non essere «ricattabile» e che la sua azione era «invisa a chi non vuole che l’Italia cambi e diventi migliore», ovvero alla magistratura.
Il tono del dibattito si è acuito ulteriormente durante l'intervento della premier all’evento “La Ripartenza”, dove aveva accusato una parte dei giudici di volere «governare loro», minando l'equilibrio tra i poteri dello Stato. Meloni aveva concluso con un avvertimento: «Se alcuni giudici vogliono governare, che si candidino, ma non si può fare che loro governano e io vado alle elezioni».
Mirenda, pur non essendo sospebile di difesa corporativa, ha condannato le uscite di Meloni, sottolineando che il diritto di critica deve rimanere nei confini del rispetto istituzionale. In uno Stato di diritto, ha evidenziato, l’equilibrio tra i poteri si fonda sulla fiducia reciproca e la garanzia che ogni potere rispetti le proprie prerogative. Ogni interferenza che minaccia questo equilibrio, dunque, rischia di delegittimare l’intero sistema democratico.
A commentare, subito dopo la diffusione della notizia della richiesta, è il laico di centrodestra Enrico Aimi, che ha espresso «ferma contrarietà».
Secondo, «tale iniziativa rischia di alterare l’equilibrio costituzionale tra i poteri dello Stato e di indebolire la credibilità del Csm, che non può trasformarsi in un luogo di censura del legittimo diritto di critica politica – si legge in una nota -. Il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero è garantito dall’articolo 21 della Costituzione e si estende a tutte le espressioni del dibattito pubblico, anche quando espresse con toni forti o polemici. Le cosiddette “pratiche a tutela”, previste dall’articolo 36 del Regolamento Interno, nate per proteggere l’indipendenza dei magistrati da indebite pressioni o attacchi personali, non possono essere piegate a fini di autodifesa corporativa o di confronto politico-mediatico, conseguentemente non ritiene ci siano gli estremi per l’apertura della pratica perché inesistente il requisito del grave turbamento all’esercizio delle funzioni giudiziarie». Aimi ha aggiunto, inoltre, come «il rispetto tra poteri dello Stato non consista nell’immunità dalla critica, ma nella capacità delle istituzioni di tollerare e gestire il dissenso con equilibrio e senso delle proporzioni». Proprio per tale motivo la richiesta appare «inopportuna e non conforme alla funzione di garanzia del Csm», auspicando che «l’organo di governo autonomo della magistratura mantenga la propria azione nell’ambito del ruolo che la Costituzione gli assegna: quello di garante dell’indipendenza, non di censore della libertà di parola».
Il dibattito all’interno del Csm si preannuncia tesissimo, con i laici di centrodestra pronti a contestare, ancora una volta, la “natura politica” della pratica. Un piccolo assaggio della campagna referendaria sulla separazione delle carriere, che promette scintille.